La fine delle pensioni può anche essere un’opportunità

Nel suo ultimo Pension at glance, Ocse ci ricorda senza mezze parole che nessun paese potrà evitare di aumentare l’età della pensione, che già oggi viene collegata in moltissimi paesi alla speranza di vita. Riforma che anche nel 2023 è stata adottata nella Repubblica Slovacca, che si aggiunge alla nutrita compagnia che vede insieme Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Italia, Olanda e Portogallo, con Norvegia e Repubblica Ceca che iniziano a discuterne.

Scelta inevitabile, in un contesto in cui la vita si allunga e le nascite diminuiscono, che significa in pratica veder assottigliare sempre più la base demografica che compone la forza lavoro, e in sostanza la possibilità di pagarle, queste benedette pensioni. Perché ciò che si tende a dimenticare è che le pensioni sono state concepite e sviluppate in un mondo dove gli anziani erano una sparuta minoranza, non una maggioranza relativa come oggi, e, soprattutto domani.

Perciò non dovremmo stupirci nell’osservare che un ventiduenne italiano di oggi è previsto vada in pensione a 71 anni, come mostra il grafico sopra. Semmai dovremmo domandarci che tipo di pensione potrà avere, e chiederci con molta serietà se la promessa previdenziale ha ancora un senso storico, in un mondo dove si tende ad avere un lavoratore per ogni pensionato. Scenario che, sempre per restare in casa nostra, Istat prevede già per il 2050.

Ciò che è probabile, ma che non si può dire, è che la pensione, nel senso che la intendevano i nostri padri, di fatto non esisterà più per i nostri giovani, a meno che non si creda che i governi sfiniscano di tasse chi lavora per pagarle. Si troveranno, gli anziani di domani, in gran parte dotati di pensioni molto basse che li costringerà a tardare il più possibile l’uscita dal mondo del lavoro. O, per dirla diversamente, li obbligherà a lavorare, magari in modo diverso da quello cui siamo abituati a pensare, praticamente per sempre.

E’ un male questo? Dipende. Pure senza coltivare la religione del lavoro, in una società che invecchia senza scampo e che rimane chiusa all’immigrazione, come quella europea, avere anziani in buona salute – il che implica politiche pubbliche decise capaci di sviluppare la cultura della prevenzione – capaci di provvedere a se stessi potrebbe anche diventare un obiettivo sociale capace di generare un certo ottimismo.

La pensione, domani, potrebbe essere considerata come una base economica che metta l’anziano nella condizione di sviluppare altre attività che siano capaci di gratificarlo, oltre ad essere remunerative, talché vengano vissute con letizia e non come una condanna.

Imparare a pensarci anziani ma ancora produttivi può essere anche un deciso miglioramento per la qualità della nostra vita. Promettere invece ancora un riposo remunerato, che prepari quello eterno, non è detto affatto che lo sia. O almeno non più. E forse non lo è mai stato davvero.

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