La relazione fra stile di vita ed istruzione fa emergere un altro tipo di diseguaglianza

Poiché tutto si tiene, dobbiamo mettere insieme vari cocci per avere un mosaico leggibile dei perché e i percome delle varie insoddisfazioni che caratterizzano la nostra vita in comune. Analizzare l’economia non basta più. Perciò abbiamo iniziato a guardarci intorno, scrutando in luoghi che sembra non c’entrino col discorso economico, che portiamo avanti ormai da una dozzina d’anni. E che invece c’entrano molto. Perché, volendolo, tutto si può ridurre ad economia, anche se, appunto, non è l’economia che spiega tutto.
Questa ricerca erratica stavolta ci ha condotto all’ultimo rapporto Istat sullo stile di vita degli italiani, chiamiamolo così. Ossia quella composizione di comportamenti che mettono a rischio la nostra salute. L’Istat ne classifica solo quattro, ma ovviamente sono molti di più. Ed è chiaro a tutti il risvolto economico che questi comportamenti portano con sé: più malati significa costi maggiori per il sistema sanitario, in un paese che già spende molti punti di pil per questo, senza peraltro riuscire a raggiungere l’obiettivo di avere anziani in buona salute. Ne abbiamo già parlato, quindi non ci torniamo.
Qui osserviamo rapidamente come i nostri connazionali si rapportino con questi comportamenti a rischio: fumo, alcol, sovrappeso e sedentarietà. Quanto a questi ultimi due, l’Italia sta meglio di altri paesi, ma non sfugge al destino di ipernutrizione, che spesso rima con depressione, dell’Occidente. Quasi la metà della popolazione è sovrappeso, molti sono obesi, e la quota dei minori in questa condizione è allarmante. Almeno per chi ha capito che un minore sovrappeso sarà quasi sicuramente un adulto nella stessa condizione a rischio di molte patologie.

Il punto saliente e che i quattro comportamenti a rischio individuati da Istat fanno sistema fra loro. E’ più probabile aumentare di peso se si consuma alcol e si fa una vita sedentaria, e spesso chi consuma alcol lo fa fumando una sigaretta, magari accompagnando il tutto con cibo fortemente calorico. Quindi non stupisce che molti soggetti associno due o più di questi comportamenti.

Il punto interessante, dell’analisi Istat, però è un altro: si evidenzia una chiara relazione fra il livello di istruzione e la probabilità di sviluppare comportamenti a rischio. “Tra la popolazione di 25-64 anni, infatti, la quota di fumatori cresce al diminuire del titolo di studio (la percentuale di fumatori è pari al 17% tra chi ha la laurea o un titolo superiore e sale al 28,5% tra chi ha al massimo la licenza media); viceversa, tra la popolazione di 65 anni e più le prevalenze sono più alte tra chi possiede titoli di studio più elevati (12,8% laurea o titolo di studio superiore contro 9,6% tra chi ha al massimo la licenza media)”.
Curiosamente, per il consumo di alcol il livello di istruzione funziona come discriminante, ma in modo non lineare: le sbronze sono più diffuse fra i livelli di studio più elevati (12,5% laurea o più contro 7,7% licenza media inferiore), “mentre se si considera il consumo abituale eccedentario, i livelli più elevati si osservano tra chi possiede titoli di studio più bassi (6,7% tra chi ha la massimo la licenza media contro 3,7% tra chi ha almeno la laurea)”. Tra la popolazione di 65 anni e più le prevalenze di consumo a rischio sono sempre più elevate tra chi possiede titoli di studio più alti. L’alcol è davvero interclassista, pure se con qualche sfumatura.
Dove invece emerge con chiarezza la relazione fra titolo di studio è comportamento a rischio è sull’eccesso di peso e la sedentarietà. “Tra le persone con almeno la laurea la prevalenza di eccesso di peso è pari al 34,7% (27,3% in sovrappeso e 7,5% obese), sale tra i diplomati (46,3%, di cui 11,6% in sovrappeso e 34,7% obese) e raggiunge il 56,5% (15,3% e 41,2%) tra quanti hanno al massimo la licenza della scuola media inferiore. Tale andamento si osserva in tutte le fasce di età, sia per gli uomini sia per le donne”.
Si delinea così l’identikit del nuovo proletario (senza prole) del XXI secolo in Italia: fumatore, consumatore abituale di alcolici e sedentario. L’unica differenza con quello del XIX, a parte la prole, è il sovrappeso. All’epoca erano magri, ma d’altronde c’era poco cibo e non esistevano i discount.
Altra differenza: all’epoca i proletari non arrivavano quasi mai a invecchiare. Oggi invece si. Purtroppo molti invecchiano male. E questo è un problema. Non solo economico.
