Seicentomila vite salvate (solo negli Usa) valgono una recessione

Ciò di cui (quasi) nessuno dubita – e per fortuna – è che vale la pena pagare il costo di una recessione, qualunque esso sia, per salvare il numero maggiore di vite umane messe a rischio dalla pandemia. Questo è il vero whatever it takes che tutto il mondo, e noi con loro, ha deciso di affrontare assai prima che i governi e le banche centrali provassero a compensare con la loro azione gli effetti economici del lockdown planetario iniziato a Wuhan e dà lì contagiatosi a una velocità di poco inferiore al virus al resto del mondo.

Ci sono ottime ragioni per farci collettivamente carico di questo costo. Tralasciando quelle etiche, che sono scontate e nemmeno dovrebbero essere in discussione, è la stessa ragione economica che suggerisce essere assai più razionale pagare questo costo, pur sapendo, come hanno scritto in un bel paper pubblicato dal NBER alcuni economisti americani, (“The macroeconomics of pandemics”), che “c’è un inevitabile trade off fra la gravità della recessione e le conseguenze sulla salute di un’epidemia”.

Lo potremmo dire anche in un altro modo: tanto più salato sarà il costo pagato in termini di recessione, tante più vite avremo salvato. E poiché il mondo è ricco abbastanza da pagare questo whatever it takes, sarebbe poco saggio a non farlo, visto che il prezzo di oggi sarà ampiamente ripagato domani, quando l’emergenza sarà passata senza decimare la popolazione mondiale, che significa insieme domanda e offerta di lavoro, merci e servizi. E quindi crescita economica.

Gli autori del paper hanno persino quantificato in 600 mila persone il risparmio di vite umane che una politica ottimale di contenimento può generare solo negli Usa. E questo risultato è stato ottenuto elaborando una rappresentazione ottenuta incrociando un modello di diffusione epidemica con un modello macroeconomico semplificato, secondo in quale in mancanza di tali misure, quindi con un impatto modesto sui consumi aggregati (-2%) si avrebbe nel periodo lungo un declino permanente della popolazione e della crescita reale, riflesso del declino della popolazione.

Se si ipotizza un calo del consumo aggregato molto più profondo, il 9,3%, il picco dell’infezione si abbatte notevolmente (dall’8,4% al 5,1%), diminuendo significativamente anche la popolazione colpita. Potenziando le misure di contenimento il picco di infezioni si può abbattere ancora fino ad arrivare al 2,5%, con un calo significativo del tasso di mortalità (dallo 0,53 al 0,36% della popolazione). Ma questo risparmio di vite – 600 mila circa – è associato “a una recessione molto più severa”. “La caduta da picco a valle del consumo aggregato sarebbe più che doppio, passando da circa il 9 percento senza misure di contenimento a circa il 21 percento con misure di contenimento”.

Si potrebbe dire, stando così le cose, che la scelta più razionale sarebbe quella di applicare da subito misure rigide di contenimento – il modello Wuhan per intenderci – infliggendo uno shock profondo all’economia per evitare quello sulla popolazione. Ma questa strategia deve tenere conto del fatto che, in assenza di un vaccino, “la popolazione non raggiunge mai il livello critico di immunità per evitare il ripetersi dell’epidemia”.

Che fare quindi? L’approccio più ragionevole sembra quello di calibrare il contenimento quel tanto che serve per evitare il collasso del sistema sanitario e insieme favorire il processo di immunizzazione della popolazione. Facile a dirsi, ma molto difficile a farsi. Una cosa è certa: pagheremo il prezzo di questa pandemia. In un modo o nell’altro.

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  1. hatikvah48

    Non capisco perché quando si ha da parlare di questioni etiche si mostra una certa fretta nel liquidarle con qualche battuta assolutoria, quasi a liberarsi di un fastidioso dovere. Vorrei esprimere il concetto che l’etica è solo il risultato di millenni di esperienze, sacrifici, errori e correzioni, che è il modo corretto di intendere ed applicare ogni azione dell’uomo, anche quelle economiche, che occorre smetterla di considerare i due termini economia ed etica come in relazione di trade-off : è giusto per questa causa che inciampiamo in ricorrenti crisi economiche o finanziarie . Finanzieri, faccendieri, tecnocrati, burocrati, analisti finanziari, società di rating, ecc.. hanno proprio bisogno di un’immersione catartica di etica, ché se ne avessero fatto uso per tempo, ora probabilmente avremmo sufficienti risorse da mettere in campo per fronteggiare evenienze di questo tipo.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      la fretta a “liquidare la questione etica”, come scrive lei non dipende da trascuratezza, ma dal semplice fatto che lo scopo del post era di quello di far notare che anche un semplice calcolo utilitaristico fa capire che le vite umane siano più importanti dei posti di lavoro, in un momento di crisi.
      Se poi lei con altri – ricordo solo Sen, ma anche il vecchio Smith – vuole ricordare che etica ed economia vanno a braccetto va bene. Ma questo blog non scrive di etica. La pratica.
      Grazie per il commento.

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