La “privatizzazione” del debito pubblico Usa

Un’altra tendenza rilevante della finanza internazionale, purtroppo poco osservata, è quella che si è innestata a partire dal 2009, dopo la Grande Crisi, e che oggi è divenuta troppo importante per essere trascurata. Ossia la prevalenza del settore privato estero rispetto a quello ufficiale nel possesso di Treasury Usa.

Detto diversamente, il debito pubblico americano non solo solo vede crescere i suoi collocamenti esteri, ma si concentra sempre più fuori dal settore ufficiale, quindi banche centrali ed agenzie varie, che lo detengono per compiti istituzionali, e quindi in qualche modo lo stabilizzano. Popola invece sempre più i portafogli di investitori il cui scopo principale è la ricerca del rendimento. La qualcosa non vuole essere un giudizio di valore, ma la semplice constatazione che il movente per detenere bond in dollari è molto diverso. Chi cerca rendimento è a caccia di opportunità. E quindi segue il rischio e la volatilità. Tutto il contrario del settore ufficiale. Se prevalgono i primi, tutto il sistema tende a sbilanciarsi assumendo le loro caratteristiche.

E in effetti sta già succedendo. Il settore privato ormai pesa più della metà del totale dei detentori esteri di Treasury e gli effetti abbiamo potuto apprezzarli durante la crisi di aprile quando le turbolenze dei mercati fecero schizzare il rendimento del bond Usa per le più svariate ragioni che abbiamo già osservato qui nelle scorse settimane.

Se guardiamo alle grandi cifre, possiamo osservar che la quota più rilevante di bond Usa, circa 1,3 trilioni di dollari, è detenuta da investitori europei, che evidentemente, a dispetto del raffreddarsi delle relazioni transatlantiche trovano sempre conveniente investire le proprie risorse nel mercato Usa. Altri 575 miliardi sono detenuti da investitori genericamente catalogati dalla Bis, che ne parla nella sua ultima relazione annuale, come appartenenti ad economie avanzate. A questi flussi verso gli Usa corrispondono altri flussi nel senso opposto. Il grafico sotto aiuta a farsi un’idea di come sia stretto l’intreccio che unisce l’economia finanziaria internazionale.

In questo contesto la notevole crescita del peso specifico delle Non bank financial institutions (NBFIs), che si può osservare dal grafico a sinistra che apre questo post, ha un significato rilevante. “La natura globale dei portafogli degli NBFI attivi a livello internazionale implica che la denominazione della valuta sia una dimensione integrante delle loro decisioni di investimento”, scrive la Bis. Che un modo felpato per sottolineare che nel calcolo dei profitti e delle perdite di queste entità il dollaro ha la stessa importanza di un qualunque asset. Come ogni altro bene può essere comprato e venduto seguendo le necessità del momento. Di questo parliamo quando diciamo che il sistema è divenuto più instabile. Nessun asset è davvero (al) sicuro. Ormai nemmeno più il dollaro.

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