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I consigli del Maître: I “vecchi” lavoratori italiani e le armi cinesi
Anche questa settimana siamo stati ospiti in radio con gli amici di Spazio Economia. Ecco di cosa abbiamo parlato.
Siamo un paese per vecchi lavoratori. L’Adapt, associazione che si occupa di studi comparati sul diritto del lavoro e le relazione industriali, ha presentato un interessante paper che fa il punto sul Jobs act presentando un primo bilancio del provvedimento quanto ai posti di lavoro creati e ai costi. Uno degli esiti più interessanti da osservare è che il provvedimento voluto dal governo ha favorito la creazione di posti di lavoro fra gli over 50 assai più che fra i giovani, per i quali la disoccupazione è rimasta elevata.
Questo risultato ha incrementato una tendenza già visibile sui tassi di partecipazione al lavoro: ossia il graduale aumento di quelli della categoria più attempata rispetto ai giovani.
E’ interessante inoltre osservare che mentre il numero dei nuovi contratti a tempo indeterminato è rimasto sostanzialmente stabile fra il 2014 e il 2016, di poco superiore a 1,2 milioni di lavoratori, è notevolmente cresciuta la quota di lavoro a tempo determinato, passata da 3,3 milioni a oltre 3,7. La quota di contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato è lievemente cresciuta. Complessivamente la politica di decontribuzione, costata una ventina di miliardi, ma il dato definitivo lo vedremo solo nel 2019, ha condotto questi risultati: più anziani al lavoro, più contratti precari.
Consumatori infedeli Il McKinsey Institute ha diffuso una ricerca molto interessante che dice molto sul come le nuove tecnologia digitali abbiano cambiato il nostro modo di essere consumatori. Una volta si era condotti ad instaurare relazioni stabili con i fornitori, basate sulla consuetudine, la frequentazione del negozio, persino la conoscenza personale. E questo conduceva a una fidelizzazione notevole del consumatore che compensava col lato umano, chiamiamolo così, eventuali diseconomie che potesse soffrire. Questo mondo è entrato in crisi con l’avvento della grande distribuzione e adesso è definitivamente esploso con l’arrivo delle tecnologie digitali. In sostanza siamo diventati un popolo di consumatori infedeli.
Tolti pochi servizi – ad esempio l’assicurazione auto ancora abbastanza fidelizzante, o il gestore telefonico – ormai per la stragrande maggioranza dei nostri beni si verifica una straordinaria transumanza di consumatori a caccia di occasioni. Una mentalità che vale per l’economia, ma è facile emigri anche in altri campi.
L’età della diseguaglianza. Uno studio molto interessante diffuso dalla Fed pone una questione solitamente poco osservata nelle varie ricerche che si occupano di documentare l’aumento di diseguaglianza che sta lacerando le nostre società.
Solitamente si pensa che la diseguaglianza sia una conseguenza delle pratiche economiche invalse nell’ultimo trentennio – e segnatamente la globalizzazione – che ha finito col favorire sempre meno ricchi a svantaggio di sempre più poveri. Aldilà di quanto sia plausibile questa narrazione – esistono prove evidenti che a livello globale la diseguaglianza è diminuita, mentre è aumentata all’interno dei paesi – è interessante il punto di vista della Fed, che si domanda se tale aumento non sia in qualche modo riconducibile all’aumento dell’età media delle popolazioni nei paesi avanzati, visto che di solito le persone più attempate hanno maggiori disponibilità di ricchezza rispetto ai più giovani, per cui, aumentando il loro numero, aumenta la concentrazione di ricchezza in questa fascia di popolazione. Il dibattito è aperto.
Il mestiere cinese delle armi. Lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) ha pubblicato un rapporto interessante sulla crescita del volume internazionale delle transazioni di armi, economia fiorentissima tornata d’attualità dopo l’annuncio del presidente Trump di voler aumentare di 54 miliardi la già elevata spesa Usa per la Difesa. Il rapporto contiene alcuni dati utili a fotografare l’andamento di questo mercato.
Ad esempio ci dice che la quota di mercato degli Usa è aumentata al 33% mentre quella della Russia è diminuita al 23%. Ma al tempo stesso che l’export cinese di armi è molto cresciuto, raggiungendo il 6% del totale, ossia il terzo posto dopo gli ex attori della guerra fredda. Al tempo stesso sempre la Cina, con il suo 5% di quota delle importazioni globali, si è guadagnata il quarto posto delle classifica degli importatori dopo l’India (13%), l’Arabia Saudita (8%) e gli Emirati Arabi Uniti (5%). Il volume delle armi cinesi esportate è cresciuto del 74%, se si confrontano il quinquennio 2007-11 con quello 2012-16, e il primo acquirente della Cina, con circa un terzo della quota, è il Pakistan, ossia l’arcinemico dell’India, mentre un quinto va al poverissimo Bangladesh e un altro 10% al Myanmar. In rapida crescita anche le esportazioni verso l’Africa. Come importatore la Cina compra il 57% delle sue armi dalla Russia, il 16% dall’Ucraina e il 15% dalla Francia. E siccome comprare armi non è come comprare prosciutti, questo serve a capire meglio come va il mondo. Ci piaccia o no.
Cronicario: Il Jobs act è l’elisir di eterna giovinezza
Proverbio del 3 marzo Ciò che è scritto in fronte viene sempre letto
Numero del giorno: 59 % cittadini europei che usa l’on line banking
Scopro così, in un pigro pomeriggio venerino che già odora di primavera, l’autentico segreto dell’eterna giovinezza che noi italiani stiamo imparando a conoscere: il lavoro. Chi lavora non invecchia mai, anzi, a dirla tutta, ringiovanisce. Diventa persino stagista, come i diciottenni, e poco manca, se è un maschietto, che gli ricrescano i capelli.
Il lavoro nobilita e ringiovanisce, altroché. E questa prodigiosa scoperta la dobbiamo al nostro meraviglioso governo, che, avendolo appreso, ha fatto in modo che aumentasse l’offerta di lavoro per gli over 50, ossia quelli che più si avvicinano alla pensione e che, siccome non la raggiungeranno mai, devono essere tenuti in forma: ringiovaniti appunto.
E i risultati, una volta tanto, sono confortanti, come leggo soddisfatto nell’ultimo bollettino Adapt diffuso di recente. Scopro, compulsandolo, che “il capitale umano favorito da Jobs act è quello rappresentato dai lavoratori con esperienza, mentre sono scarsi i segnali positivi per la fascia più giovani”. Perché sorprendersi: sono giovani, mica hanno bisogno di ringiovanire. E poi leggo che “l’aumento degli occupati nella fascia over 50 è comunque plausibilmente legato alla riforma Fornero”, che per fortuna ha costretto i lavoratori over 50 a vivere la loro ultima giovinezza. E infatti molti hanno aderito entusiasti.
E non pensate che sia avvenuto per caso. E’ dal 2007 che si studia come far ringiovanire gli italiani.
E come vedete finalmente ci siamo riusciti. E’ costata una cosetta, una ventina di miliardi, fare questo miracolo. Ma la giovinezza non ha prezzo. E comunque ci sono le tasse dei cittadini per questo.
Per non intristirvi troppo, in questo venerdì di mezza primavera, vi darò un’altra informazione che sono certo vi sorprenderà: siamo diventati un popolo di infedeli. No, non sono un fondamentalista islamico. E neanche un censore delle scappatelle. Mi riferisco alle nostre abitudini di consumo, che da quando si è diffusa la tecnologia digitale sono state stravolte dalla mania del click. Andiamo a caccia di occasioni come i maniaci a caccia di gonnelle. E qual è il risultato? Che al massimo siamo rimasti fedeli a chi ci fornisce la connessione.
V’è piaciuto l’amore (per lo shopping) libero? Ecco il risultato.
A lunedì.










