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L’immobiliare cinese continua a scricchiolare

Assediati come siamo da un flusso dirompente di brutte notizie, abbiamo già dimenticato il terremoto provocato dai problemi di Evergrande, lo sviluppatore immobiliare cinese finito in grossi guai finanziari. Il mercato però, a differenza nostra, ha la memoria lunga. E quel piccolo terremoto continua a generare scosse di assestamento nella forma di ulteriori mancati pagamenti – default esteri su alcune obbligazioni – da parte di altre aziende cinesi, che vengono puntualmente elencati in un approfondimento pubblicato da Bofit.

A monte, spiegano gli economisti, c’è una maggior sfiducia che di fatto ha limitato a molte imprese l’accesso al credito. Anche perché le agenzie di rating, maestre nell’intervenire il giorno dopo, hanno declassato molte di queste società. E com’è noto, in un settore sempre più indebitato come quello delle costruzioni cinesi, basta far saltare un giro di giostra perché fiocchino i default.

Figuratevi con quanta gioia il mercato ha accolto l’ondata di default ottobrina generata da alcune di queste società, che hanno mancato i pagamenti previsti il mese scorso. Fra queste, ci sono China Properties Group (226 milioni di dollari), Fantasia Holdings (206 milioni), Sinic Holdings (246 milioni) e Modern Land (250 milioni). Inoltre, Xinyuan Real Estate Co. ha scambiato 205 milioni in obbligazioni in scadenza con nuove obbligazioni in scadenza nel 2023. 

La conseguenza è stata che il valore di molte altre obbligazioni di settore è crollato, e fra queste si segnalano quelle del Gruppo Kaisa, già finita in default su alcune obbligazione nel 2015 e che ancora oggi ha una notevole quota di debito offshore. Nei giorni scorsi le sue quotazioni sono state interrotte alla borsa di Hong Kong.

Bofit stima che molte altre aziende con obbligazioni in scadenza finiranno in default prima della fine dell’anno. E questa previsioni interviene in un momento complicato dal timore di molti investitori che i cinesi daranno priorità ai loro impegni finanziari interni prima di pensare a quelli esteri. Ormai da tempo la Cina sta segnalando una certa volontà curtense, e gli investitori esteri potrebbero essere i primi a pagarne le conseguenze.

Non vuol dire certo che i problemi degli investitori interni siano poca cosa. Evergrande ha 19 miliardi di debito offshore, che sono poca cosa rispetto ai 300 miliardi di debito complessivo del gruppo cinese. Se dovesse continuare a mancare i pagamenti, sarà estremamente difficile evitare una crisi finanziaria. La Cina potrà pure pensare di erigere un muro che la separi dal resto del mondo, ma non si salverà per questo.

A tal proposito, vale la pena dedicare ancora qualche riga al caso Evergrande prendendo a prestito da un pregevole approfondimento pubblicato nell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia. Come premessa è saggio ricordare che la crescita dell’immobiliare cinese è frutto di una precisa strategia promossa da Pechino all’indomani della crisi del 2008 nell’ambito di una forte azioni di stimolo, con risorse in gran parte ottenute dagli immobiliaristi in cambio di terreni edificabili. Secondo alcune stime, all’immobiliare cinese si potrebbe ricondurre il 30% dell’intero valore aggiunto complessivo. E questa crescita è stata fatta in gran parte a debito: “Il 23 per cento del volume di obbligazioni non
sovrane cinesi in circolazione – scrive la Banca – e più della metà di quelle high yield sono state emesse da imprese del settore immobiliare”.

Il gigante immobiliare cinese, insomma, è sovrappeso e malaticcio. Anche se finora “le possibilità di contagio finanziario globale in seguito a un eventuale fallimento del gruppo (Evergrande, ndr) appaiono complessivamente limitate”. Bankitalia stima che le passività del gruppo collocate sul mercato siano di 88 miliardi, 20 dei quali in circolazione sulle piazze internazionali”. Il resto del debito è in pancia alle banche cinesi. Un default, quindi avrebbe più effetti interni che esterni.

Il problema però è che il rischio internazionale uscito dalla porta può rientrare dalla finestra. “Se a fronte di una crisi di fiducia si innescasse una repentina e diffusa interruzione degli acquisti di immobili determinando un brusco calo dei prezzi, la flessione del mercato immobiliare potrebbe avere
conseguenze non trascurabili sull’economia reale”. Il Fmi ha stimato che un calo dei prezzi immobiliari cinesi del 15% può condurre a un calo del Pil interno di un punto. A quel punto è difficile immaginare che non ci siano effetti all’esterno.

In attesa di conoscere gli sviluppi, vale la pena ricordare che finora le inadempienze offshore dei cinesi hanno già raggiunto la cifra di 19 miliardi di dollari, un terzo dei quali provocati dai costruttori, a fronte dei 207 miliardi complessivi. Una goccia nell’oceano del debito globale. Ma molto velenosa.