Etichettato: mercato immobliare italiano
Prospettive difficili per il mattone italiano

Diversi fattori concorrono al costante indebolimento della componente della ricchezza delle famiglie italiane custodita nella cassaforte immobiliare. Intanto l’inflazione, che ha divorato quel poco di crescita nominale – l’1,1% nel 2023 secondo quanto riporta la relazione annuale di Bankitalia, in calo dal 2,1% del 2022 – facendo sprofondare i pezzi reali, e quindi il valore dello stock. Il grafico sopra a sinistra ci comunica infatti che i prezzi reali stano 10 punti sotto l’indice 100 del 2015, e questo calo si è consumato nell’ultimo biennio.
A questa difficoltà congiunturale se ne aggiunge un’altra, determinata stavolta dal mercato del credito. Bankitalia osserva che trovare mutui è diventato più complicato, sia perché sono più cari, e quindi meno popolari, sia perché le banche hanno irrigidito i criteri di concessione per ragioni prudenziali. Il calo delle compravendite, poco meno del 10%, che ne è derivato ha ovviamente indebolito i prezzi, cresciuti solo dell’1,3 nel 2023 rispetto al 3,8 del 2022, con la componente delle abitazioni di nuova costruzione a guidare i ribassi.
A fronte di questi andamenti, ossia un mercato delle compravendite più rigido, si sono osservate tendenze al rialzo dei canoni di locazione, che già si notavano da alcuni mesi, mentre la domanda di nuove abitazioni rimane debole.
Se guardiamo oltre la congiuntura, che comunque rimane avversa, ci sono altre ragioni che complicano le prospettive per la ricchezza immobiliare degli italiani. La normativa europea per l’efficientamento energetico delle abitazioni, infatti, solleva parecchi interrogativi sulle quotazioni prossime venture di molta parte dello stock immobiliare italiano, del quale solo il 12 per cento risulta avere una classe energetica efficiente, quindi fra il livello A1 e A4. La gran parte, il 53%, si colloca nelle classi più basse (G ed F) e questo genera un differenziale nelle quotazioni di prezzi fra le categorie migliori e quelle peggiori che può arrivare al 25% nella media nazionale.

Poiché la normativa prevede che si arrivi a una riduzione delle emissioni generate dalle abitazioni, che peserebbe il 12,5% delle emissioni complessivi di gas serra secondo ISPRA, entro il 2035, chi per allora non avrà adeguato – investendo quindi risorse – il proprio immobile rischia una notevole erosione della propria ricchezza immobiliare. E poiché per allora pagheremo ancora i danni provocati dal Superbonus, sarà difficile che dal governo arrivino aiuti a pioggia.
Gli effetti di queste prospettive si inizieranno a vedere già da adesso. Chi compra una casa, specie se non di nuova costruzione, tenderà a valutare nel prezzo lo stato energetico dell’immobile, provando a scontare dal prezzo il costo dei lavori di adeguamento. Quindi poca domanda, poco credito e prezzi depressi dai costi futuri di adeguamento. La condizione ideale per rallegrare un mercato.
