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Rimbalzo del commercio nel primo trimestre 2024 nei paesi Ocse

Il primo quarto del nuovo anno regala un dato positivo al commercio internazionale dopo un 2023 chiuso in rosso al termine di un anno che ha visto gli scambi in costante declino.

Le esportazioni di merci, scrive Ocse nella sua ultima ricognizione statistica, sono cresciute dell’1,9% nel primo trimestre, guidate dalla forte crescita dell’export cinese, mentre le importazioni di merci sono diminuite dello 0,2%, in parte per il calo dei corsi energetici.

Sul versante dei servizi, Ocse stima una crescita dell’export del 2,2%, sempre nel primo trimestre 2024, e delle importazioni del 3,5%, in buona parte guidata dalla crescita dei viaggi internazionali.

Un dato positivo, quindi, che però nasconde alcune debolezze. Se confrontiamo l’incremento degli scambi del primo trimestre 2023 con quello del 2024 ci accorgiamo subito che il rimbalzo dell’anno nuovo è stato più lento di quello vecchio. Una rondine non fa primavera, insomma, e solo i prossimi trimestri ci diranno se il 2024 avrà una tendenza positiva e in che misura.

Gli Usa si confermano i grandi motori sia della crescita delle esportazioni di merci (+1,4% grazie a maggiori vendite di beni di consumo e prodotti agricoli) che di quella di servizi (+1,6% grazie a viaggi e servizi finanziari.

L’Ue ha visto crescere l’export di merci dello 0,9%, grazie alla vendita di prodotti chimici, e l’import declinare, sempre grazie al raffreddamento dell’energia. In Uk sia l’import che l’export di merci si sono contratti, mentre in Asia acciaio e macchinari hanno fatto crescere del 6,6% l’export cinese. La Corea, invece ha potuto contare sulla forte richiesta di semiconduttori e computer.

Per quanto riguarda i servizi, sul fronte delle importazioni si osserva l’aumento del 4,1% degli Usa, guidata da viaggi, trasporti e servizi finanziari, la buona performance britannica e, in Asia, quella dell’India, che ha visto crescere esportazioni e importazioni del 2,4 e del 6,6%. Anche la Cina ha visto crescere l’export di servizi del 9,9% e l’import, guidato dalle spese di viaggio, del 6,6%.

Il quadro, insomma, è molto articolato. Se ne trae l’immagina di un commercio internazionale che prosegue, malgrado le evidenti tensioni, un po’ sfruttando l’inerzia delle catene di fornitura, un po’ quella della lunga consuetudine agli scambi internazionali. Le previsioni rimangono moderate. Un po’ come le nostre ambizioni.

Il commercio internazionale cammina al rallentatore

Gli ultimi dati diffusi da Ocse sul commercio internazionale confermano una situazione di debolezza che sembra dar ragione ai tanti che parlano di de-globalizzazione ed altre amenità. La realtà purtroppo è assai più semplice: si commercia meno sia perché si produce meno (le scorte sono diminuite bruscamente e anche la produzione di beni intermedi) sia perché le varie domande aggregate, vuoi per l’inflazione, vuoi per la scarsa fiducia, rimangono deboli, specialmente in Europa e nei paesi asiatici più dinamici. A ciò si aggiungano i costi crescenti del denaro, che scoraggiano il finanziamento del commercio.

Ciò non vuol dire che non ci siano tensioni internazionali, ovviamente. Ma semplicemente che la forza di gravità della globalizzazione è assai più forte di quello che si può credere scorrendo le nostre cronache, che hanno la consistenza temporale di un post social, a fronte di strutture e prassi che sono codificate e rodate dalla storia. Creare o spostare catene di fornitura richiede tempi del tutto incompatibili con le abitudini della nostra quotidianità.

La debolezza del commercio, tuttavia, è un fattore di preoccupazione perché, paradossalmente, alimenta lo scontento che poi trova nella critica alla globalizzazione, ossia al commercio internazionale, il suo ristoro momentaneo. E poiché andiamo incontro a un anno complicato, con elezioni politiche sensibili sia negli Usa che in Europa, allora dovremmo sempre ricordarci di questo modo curioso che ha molta parte dell’opinione pubblica di guardare alla questione delle politiche commerciali.

A livello statistico, Ocse ci informa che ormai dalla metà del 2022 la quota di commercio sul pil globale tende a declinare, vuoi per motivi strutturali – il cambio di costituzione economica in corso in Cina – vuoi per pura circostanzialità. Rimane il fatto che nessuno si aspetta di rivedere i tassi di crescita del commercio dei primi Duemila, almeno fino a quando il mondo non troverà (se lo troverà) un nuovo equilibrio basato su una paziente voglia di cooperare.

E’ proprio su questa vocazione che si cumulano i dubbi. L’aumento delle restrizioni commerciali che Ocse osserva con un certo scoramento testimoniano semmai del contrario. Racconta di un mondo che serra le fila, anziché aprirle.

E i fattori ciclici, che sono numerosi e fonte ognuno di loro di straordinarie complessità, non fanno che aggiungere benzina al fuoco dell’inimicizia fra i paesi.

Chi conosce la storia ricorda con quanta facilità gli anni Trenta del XX secolo condussero alla rovina dell’economia internazionale, con ciò che ne conseguì. Poiché ci avviciniamo ai nostri anni Trenta, faremmo bene a ripassare questa lezione di storia. Non tanto perché la storia si ripeta. Al massimo tendiamo a ripetere sempre gli stessi errori: l’essere umano è una notevole testa dura. Quanto perché rischiamo sempre di far peggio, se non impariamo una volta per tutte a pensar meglio.