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L’inverno della globalizzazione gela le commodity

Dopo essere cresciuti timidamente, un po’ meno del 2%, fra l’estate del 2024 e la primavera del 2025 i prezzi delle commodity hanno iniziato a perdere quota dopo il caos scatenato dagli annunci americani delle tariffe. E sarebbe strano il contrario. Le commodity sono letteralmente il carburante della globalizzazione, e se quest’ultima rallenta, petrolio, gas, metalli e tutto il resto tendono a raffreddarsi.
Il petrolio, fra l’altro, calava già prima da aprile, andando in controtendenza rispetto all’indice generale, con quotazioni, sempre fra agosto 2024 e marzo 2025, diminuite del 9.7%. Da aprile in poi le quotazioni del greggio sono scese ancora e ormai i previsori quotano il greggio fra i 60 e i 65 dollari nel medio periodo, anche il ragione della domanda che si va raffreddando.
Il Fmi, che al tema dedica un approfondimento nel ultimo WEO, nota altresì che le nuove sanzioni imposte alla Russia il 10 gennaio scorso non hanno praticamente avuto effetti sul mercato e sui flussi commerciali. La Russia vende il suo greggio prioritariamente a Cina e India, e lo vende a sconto di 5-15 dollari rispetto al Brent. E questo ovviamente ha un peso sulle quotazioni internazionali.
Il gas, al contrario, sempre nel periodo considerato, ha visto crescere le sue quotazioni del 7,7%, confermandosi come la commodity più sensibile alle sollecitazioni che arrivano dai mercati. Nel periodo considerato, giova ricordarlo, è scattato lo stop alle ultimo linee di fornitura di gas Russo in Europa dall’Ucraina all’inizio di gennaio. I prezzi hanno iniziato a salire sostanzialmente da allora. Da aprile in poi, ossia dall’annuncio delle tariffe in poi, anche il prezzo del gas si è raffreddato ed è previso in calo.
I metalli nel periodo considerato sono aumentati dell’11,2%, guidati da oro, alluminio (+12,7%) e rame (+8,4%), ma questi due ultimi adesso sono entrati nel gorgo delle tariffe, e poiché incarnano meglio di molti altri la merceologia della globalizzazione, hanno visto deragliare al ribasso le loro quotazioni. Le stime vedono alluminio e rame in ribasso del 5,7 e del 4,5% entro la fine del 2026, mentre l’oro, ritornato per disperazione (nei confronti del dollaro) bene rifugio ha finito col superare i 3.000 dollari, raggiungendo il suo record storico.
Anche le commodity agricole stanno facendo i conti con l’inverno incipiente della globalizzazione. Fra l’estate 2024 e il marzo scorso l’indice aggregato è cresciuto del 3,6%. Ma dopo aprile alcuni beni, come caffè e soia, hanno visto crollare le quotazioni e le previsioni non sono per nulla positive. L’indice dei prezzi anzi converge verso il livello base del 2016. A meno che, certo, non si verifichino impedimenti gravi ai raccolti, magari a causa di venti climatici avversi o problemi politici di equivalente gravità.
I mercati delle commodity, insomma, hanno prospettive deboli. Ma di questi tempi non è ben chiaro chi le abbia forti.
