Etichettato: rapporto annuale Abi

Cronicario: Debito pubblico, palla al piede e goal

Proverbio del 12 luglio I tatuaggi sulla schiena li ammirano gli altri

Numero del giorno: 140.480.000.000 Surplus commerciale cinese vs Usa nel primo semestre 2019

E che ci vuole a parlar male del debito pubblico italiano? Al netto di pochi (confusi e/o furbetti) sostenitori, è uno degli sport nazionali più diffusi dopo il calcio. E non a caso si sentono tutti allenatori. Se governassi io, signora mia.

Per non parlare di quanto sia diffuso all’estero questo sport. Ormai il debito pubblico italiano è ospite fisso in qualunque baubau internazionale. L’ultimo l’ha fatto la Banca d’Inghilterra, dopo aver letto le previsioni della Commissione Ue, nostra nota estimatrice, nonché cultrice della materia.

Per cui, che ci vuole a parlar male del debito pubblico? Specie se sei il capataz dell’associazione delle banche italiane, oggi in grande spolvero per la presentazione del rapporto annuale, e quindi in pieno riflusso verbale. Al punto che viene utilizzata una meravigliosa metafora per parlare del debito pubblico italiano. Ve ne do qualche assaggio: “Il debito pubblico italiano, sempre crescente dalla fine degli anni Sessanta, è la principale palla al piede dello sviluppo e dell’occupazione. il suo continuo incremento è la principale causa dello spread” che “impoverisce gli italiani”, dice.

Ne volete ancora? Eccovi serviti “Quando il debito pubblico era infimo, l’Italia raggiunse il ‘miracolo economico’” mentre “nell’ultimo ventennio il debito pubblico è raddoppiato e il suo continuo incremento è la principale causa dello spread che quando è alto  innesta una catena di conseguenze: si alzano i tassi sui titoli di Stato italiani e ciò può creare una pericolosa e onerosa catena di aumenti del costo del denaro per banche, imprese e famiglie”.

Tutto giusto, vero, sacrosanto, applausi…ma…ma…c’è sempre un ma. Non appena si parla di bail in, un meccanismo studiato apposta per evitare che i crediti marci delle banche si trasformino in debito pubblico dei contribuenti, ecco che “il bail in è inapplicabile”, perché “la Costituzione tutela il risparmio e i depositi non sono investimenti”. Quando si tratta dei casi propri, d’improvviso il debito non è più una palla al piede. E’ un pallone.

E si fa sempre goal.

Buon week end.

La famiglie italiane trascinano la crescita del credito

L’ultimo rapporto Abi presentato di recente conferma una evidenza già chiara ai lettori delle statistiche bancarie che pubblica la Banca d’Italia: la tenue ripresa del credito, che nell’ultimo anno – dato riferito a maggio – ha visto una crescita dell’1% al settore privato è in larga parte dovuta alle famiglie. Queste ultime hanno visto il credito a loro concesso crescere del 2,5% su base annua a fronte dello 0,3% delle imprese. Una tendenza che il rapporto Abi, malgrado sia aggiornato ad aprile 2017, ci consente di apprezzare in tutto il suo significato.

La tabella degli impieghi mostra che a fine aprile il totale dei prestiti del settore bancario era di 1.797,455 miliardi, dei quali 1.530,319 in capo al settore privato. Famiglie e imprese ne assorbivano quasi 1.400. Se andiamo a vedere le dinamiche, osserviamo però che alla fine del primo quadrimestre 2017, i prestiti alle imprese sono cresciuti dello 0,2% – a maggio come abbiamo visto il dato è leggermente migliorato – a fronte dello sprofondo registrato a novembre 2013, quando si registrò un calo del 5,9%. E interessante però osservare che “sulle determinanti della domanda di finanziamento delle imprese, nel corso del primo trimestre del 2017, si è registrata una flessione della dinamica legata agli investimenti”, mentre c’è stata “una domanda positiva per il finanziamento di scorte e capitale circolante”. Insomma: gli imprenditori mettono fieno in cascina e fanno girare i soldi. Ma gli investimenti sono ancora freddi.

Al contrario l’Abi rileva che è in crescita “la dinamica tendenziale del totale
prestiti alle famiglie (+2,4% ad aprile 2017; -1,5% a novembre 2013)”. Come si può osservare, anche il dato di maggio conferma il trend. Ma questa domanda, in sostanza, dipende in larga parte dai mutui. “Sempre ad aprile 2017 – scrive Abi – l’ammontare complessivo dei mutui in essere delle famiglie ha registrato una variazione positiva del +2,4% nei confronti di fine aprile 2016 (quando già si manifestavano segnali di miglioramento), confermando, anche sulla base dei dati sui finanziamenti in essere, la ripresa del mercato dei mutui, colta inizialmente con l’impennata dei nuovi mutui”. Se guardiamo ai tassi, sempre utilizzando i dati Bankitalia di maggio, osserviamo che c’è stata una certa crescita dei tassi che le famiglie pagano per i i mutui, che rimangono bassi, ma sono in ripresa. La domanda di credito, insomma, favorisce il rialzo dei tassi. Quelli per le imprese al contrario, rimangono depressi.

Se mettiamo insieme i pezzi, risulta che le famiglie italiane, in qualche modo anche stimolate dai tassi bassi, hanno ripreso a comprar casa, come mostra anche l’aumento delle compravendite dell’ultimo anno, e quindi hanno aumentato la domanda di credito. Ma allora perché le imprese, che hanno tassi ancor più bassi non hanno reagito allo stesso modo? Qui le congetture si sprecano. Le imprese forse sono meno fiduciose delle famiglie – che affrontano con più tranquillità un investimento impegnativo come l’acquisto di un’abitazione – o forse semplicemente sono messe peggio, ossia hanno più debiti e peggiori prospettive di reddito.

Sempre Abi nota che “nel quarto trimestre del 2016 il debito delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile è rimasto pressoché invariato, al 61,7%, mantenendosi ben al di sotto di quello medio dell’area euro (95% circa alla fine di settembre)”. Da fine 2007, quindi prima dell’inizio della crisi, ad oggi, i prestiti bancari all’economia “sono passati da 1673 miliardi a quasi 1.800 miliardi di euro, quelli delle famiglie da 1.270 a 1.400”. In sostanza, questo aumento è dipeso in gran parte da loro. Al di là di quanto costi, insomma, il credito bisogna anche poterselo permettere. Le famiglie evidentemente possono. Le imprese forse no.