La fredda guerra della Russia

Nell’evo estremo che stiamo vivendo, in cui ogni cosa è economica, e quindi o è misurabile col metro della moneta o non è, la forma stessa dei conflitti assume quella algida del calcolo e si sostanzia in atti economici.

Purgato da quarant’anni di guerra fredda, il mondo oggi sperimenta la fredda guerra delle statistiche, che non risparmiano nessuno, a cominciare dagli stati che pure tali strumenti statistici hanno preteso per dare fondamento oggettivo, e quindi universale, alla loro volontà di potenza. Basta sfogliare La politique des grandes nombres di Alain Desrosières, per comprendere dove e quando è cominciata quest’epopea.

E poco importa che l’estremo numerico, ché altro non è il calcolo statistico, abbia esili fondamenti congetturali. Usare il calcolo in chiave assolutistica, proprio perché nessuno può dubitarne, è stato il capolavoro del Leviatano. E perciò L’invenzione dell’economia, come la chiama Serge Latouche in uno dei suoi libri, lo strumento più efficace per colonizzare l’immaginario dell’uomo, trasformato d’imperio in Uomo economico, quindi freddo calcolatore privato della sua naturale multidimensionalità.

Un robot da accademia con l’ossessione del guadagno.

Tale forma parossistica di feticismo si è estesa come una peste dall’individuo alla società, fino a conformarla, mascherandosi all’inizio con l’equivoco tipicamente marxista che voleva il processo economico ulteriore rispetto a quello politico, quando anche una superficiale ricognizione dell’origine stessa di tale invenzione, quella economica appunto, basta a comprendere che l’economia sia politica sin dal suo sorgere.

L’economia ha servito la politica fornendole un linguaggio. La lingua dell’economia in tal senso, con la sua hybris matematica a significare l’ambizione scientifica di regolare la realtà, è innanzitutto una retorica. E la retorica è l’arte di condurre e vincere una controversia. Quindi una tattica di guerra.

L’economia, perciò, così come è stata disegnata, serve alla guerra, come peraltro è sempre servita sin dai tempi del mercantilismo, cent’anni prima di Adam Smith.

E’ caratteristico del nostro tempo, tuttavia, che la guerra stessa sia divenuto un atto puramente economico, condotto con scaramucce finanziarie. A differenza del passato, quando i moventi economici concorrevano alle ragioni dei conflitti, ma non li esaurivano, oggi l’impeto di Marte dei popoli, ormai addomesticati dalle carneficine di massa, viene soddisfatto dalle sanzioni economiche che punzecchiano gli stati laddove fa male: nel portafoglio.

Anche questo si è sempre fatto. Ma oggi, nel mondo che conta, si fa esclusivamente questo. Bombe ai paesi disgraziati. Sanzioni a quelli che partecipano al Grande Gioco. L’ennesima spaccatura verticale, disegnata sul crinale del potere economico, fra gli stati del mondo.

Perché stupirsi, quindi, se la crisi Ucraina, che ha riacceso vecchie ostilità e trascorsi abiti mentali fra l’Occidente di marca nordamericana e l’Oriente di marca russa, venga declinata col linguaggio dell’economia?

La Russia è rientrata a pieno titolo nel Grande Gioco, diversamente da quando il suo ruolo di superpotenza era affidato agli armamenti. Oggi nessuno più si chiede quante armate abbia la Russia. Semmai quante riserve abbia o quanti debiti russi girino per il mondo.

All’epoca della guerra fredda una catastrofe economica in Russia avrebbe riguardato solo i russi e i loro satelliti, come in effetti è stato persino fino al 1998, quando la Federazione ripudiò i suoi debiti. All’epoca i sismografi economici internazionali segnarono una fibrillazione significativa, ma meno di quelle provocate dalla crisi del Messico del ’95 o da quelle della crisi asiatica del ’97. La Russia era ancora i margini del Grande Gioco. Già ricca, come peraltro è sempre stata, dei suoi beni naturali, ma ancora barbara, selvatica. Inconvertibile.

Oggi non è più così. La Russia è entrata nel Wto nel 2012, suscitando grandi speranze fra gli studiosi del commercio internazionale. La Russia, perciò, è entrata a pieno titolo nella Globalizzazione. E’ diventata addirittura uno dei Brics, quando uno studioso della Goldman Sachs, ai primi del XXI secolo, coniò questa nuova categoria di economie emergenti. La Russia, insomma, sta nel salotto buono. Non più impero del male, ma partner. La Russia quindi è un’opportunità.

Ma la Russia è anche un problema.

Oggi un default della Russia avrebbe conseguenza peggiori della mitica bomba H su molti paesi d’Occidente. Perciò il riaccendersi di tali vecchie ostilità dovrà esaurirsi nella fiamma fredda della guerra del nostro tempo: quella dei numeri e delle statistiche. Quella dove si fanno le sanzioni (economiche) ad personam. Quella che si dichiara con algide stime internazionali, come quella del Fondo Monetario internazionale di qualche tempo fa, laddove si è ridotta la crescita del Pil russo prevista per il 2014 a uno misero 0,2%, con la voce contrita di un chissà chi, ma gallonato, che già avvertiva circa l’inevitabilità della recessione. Fondo monetario peraltro impegnato in una missione proprio in Russia nei giorni terribili della crisi.

La Russia va osservata, perciò. E anche compresa. Ma non è possibile se non ci arma di pazienza e non si ricomincia daccapo.

Più o meno da centocinquant’anni fa.

(1/segue)  Leggi seconda puntata

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