Dalla moneta hi tech alle “nazioni” digitali
Concludiamo questa lunga camminata lungo i sentieri impervi delle monete digitali con questa considerazione, contenuta nello studio che ci ha accompagnato fino ad ora: “Le nuove valute ridisegnano la mappa: creano nuovi collegamenti e nuovi confini. La digitalizzazione può alterare le basi del sistema monetario internazionale e può portare alla nascita di nuove valute internazionali che hanno il potenziale di rimodellare le reti di interazione economica, trascendendo dai confini delle aree valutarie ottimali (optimal currency areas, OCA)”.
Questa è la posta in gioco, e spiega bene perché i governi di mezzo mondo, quello statunitense prima degli altri, e molte banche centrali, abbiamo alzato gli scudi dopo la presentazione della Libra di Facebook, che le cronache ci raccontano sempre più in difficoltà. Stati e banche si sono sentiti minacciati da una compagnia privata che ha un miliardo e più di clienti e vuole una sua moneta.
Non è difficile capire le ragioni. Un’entità all’interno della quale circola uno strumento di pagamento indipendente, quindi non legato a un governo territoriale, e transfrontaliero è molto più di un buon affare. E’ il seme di un nuovo tipo di nazionalità che ha come abitante lo user-consumatore e come governo il fornitore di servizi. I “cittadini” di Facebook, per fare un esempio, hanno già una precisa carta di identità che corrisponde non solo alle informazioni che diffondono intenzionalmente sulla rete, ma soprattutto determinata dai comportamenti che sviluppano all’interno del social network (a cominciare da quelli di consumo) che quest’ultimo a sua totale discrezione può decidere di premiare o sanzionare.
Disponendo di una moneta la carta di identità si completa con una sorta di stato patrimoniale che, pure se parziale (costruendosi solo sulla base delle transazioni effettuate), arricchisce il profilo dello user e quindi il valore del fornitore di servizi, la cui moneta diventa improvvisamente concorrenziale rispetto a quelle tradizionali. A ciò si aggiunga che la “digital currency area” (DCA), ossia l’area all’interno della quale circola questa moneta può anche esondare dai confini nazionali “analogici”, a differenza di quanto accade per una OCA, che è caratterizzata dalla prossimità geografica.
Al momento le DCA più attive si osservano in Cina. Sia Tencent che Ant financial hanno sviluppato DCA che emettono una moneta digitale usata da centinaia di milioni di persone. Sono sistemi non comunicanti, ma tuttavia esprimono numeri di tutto rispetto. Quest’anno Alipay ha raggiunto gli 870 milioni di user e il volume trimestrale degli scambi mediati dalla piattaforma ha raggiunto i sette trilioni di dollari. Tencent fa numeri simili.
Lo sviluppo della DCA rimane tuttavia condizionato dalla diverse regolazioni che le varie giurisdizioni statali possono decidere di adottare per il loro funzionamento. Si pensi ai profili di privacy o di regolazione dell’attività bancaria che si intravede in queste pratiche. Quindi paradossalmente, come rilevano gli autori, il digitale che ha la vocazione di superare ogni tipo di barriera geografica, può condurre a una frammentazione del sistema finanziario.
Ma in teoria può accadere anche il contrario. Una moneta digitale emessa da una DCA può internazionalizzarsi o perché diventa una riserva di valore efficiente o perché si rivela un mezzo di scambio efficiente, ruoli che storicamente tendono a convergere. Un network potente ed efficace può teoricamente condurre a una sorta di “dollarizzazione” della valuta digitale emessa all’interno di una DCA e questo cambierebbe sostanzialmente il funzionamento del sistema monetario, similmente a come abbiamo visto spiegando l’idea di una valuta digitale sintetica con dietro le banche centrali presentata dal governatore della BoE Mark Carney a Jackson Hole.
Soprattutto una valuta digitale potrebbe rimettere in discussione il caposaldo teorico che negli ultimi decenni ha guidato l’economia monetaria, ossia che una moneta pubblica, quindi emessa da uno stato, sia più efficiente di quella emessa dai privati. Un vero e proprio dogma, visto che le pratiche di free banking sono un pallido ricordo della storia. La messa in discussione di questo dogma conduce a questionare anche la politica monetaria, ossia l’idea che serva una gestione pubblica della moneta (pubblica).
E questo ci conduce alla conclusione di questa lungo viaggio fra tecnica e filosofia delle valute digitali. Queste ultime possono teoricamente condurre a una sostanziale perdita di importanza del sistema bancario e a una progressiva sparizione del contante. Il sistema tradizionale, quello basato sul connubio sta governo e banca centrale, col sistema bancario commerciale a fare da cinghia di trasmissione può rispondere con la creazione di una valuta digitale di banca centrale (che “può restituire un certo potere all’autorità monetaria senza richiedere la regolamentazione diretta di nuove valute”), come abbiamo visto sta accadendo sempre in Cina.
In entrambi i casi il contante sembra avere poco spazio nelle società che andremo a costruire in futuro, e non è certo un caso. C’è sempre meno spazio per oggetti “analogici” come il denaro contante in una società digitale, ossia una società nella quale tutto si trasforma in informazione tracciabile.
E questa è la morale di tutta la storia. Le monete digitali, siano essere private o pubbliche aumenteranno naturalmente l’interconnessione fra le persone. Significa anche che saremo sempre meno liberi. Saremo cittadini di nazioni digitali, articolate fra social network o comunità geografiche. In entrambi i casi puntini luminosi su uno schermo, osservato non si sa bene da chi e chissà per quali fini. Il nostro privato, più o meno intenzionalmente esibito, per narcisismo o semplice necessità, sarà sostanzialmente pubblico. Ma questo, a quanto pare, è ciò che desidera l’uomo del XXI secolo.
(5/fine)
Puntata precedente: Dal sistema di pagamento alla piattaforma monetaria digitale
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