Non si arresta la de-globalizzazione finanziaria

Il declino osservato nel corso del 2018 degli investimenti diretti internazionali (IDE)  non solo è continuato nel 2019, ma è persino peggiorato, stando alle metriche elaborate da Ocse, che ha dedicato al tema un robusto approfondimento pieno di dati molto istruttivi.

A livello globale, quindi con molti distinguo, il flusso degli investimenti diretti (Foreign Direct Investment, FDI) nei primi sei mesi del 2019 è diminuito del 20%, a quota 572 miliardi, con un calo del 5% nel primo quarto e del 42% nel secondo.

Degna di nota la circostanza che all’interno dell’area Ocse gli afflussi siano diminuiti del 43% “largamente guidati dalla riduzione dei flussi all’Olanda, gli Stati Uniti e il Regno Unito”, nonché provocati “dai disinvestimenti da Belgio e Irlanda”. Al contrario  gli afflussi dai paesi Ocse sono aumentati, ma appena del 2%.

Fra i tanti rivoli dell’emorragia di investimenti subita dai paesi Ocse si nota quella statunitense. Gli Usa nel secondo semestre 2016, quindi appena tre anni fa, avevano ricevuto investimenti diretti dalla Cina per 16 miliardi. Nel primo semestre 2019 questi flussi si erano ridotti a 1,2 miliardi, con un calo superiore al 90%. “Questo ha probabilmente influito anche sui FDI da e verso Hong Kong, in Cina, che ha registrato i suoi primi valori negativi sia per gli afflussi che per i deflussi dal 2005 nel secondo trimestre del 2019, poiché spesso funge da canale per gli investimenti da e verso la Cina.

I disinvestimenti da alcuni noti centri finanziari, come l’Olanda, o dagli Usa, sono due facce della stessa medaglia dove campeggia l’effigie del presidente americano, che ha – da una parte – varato una legge fiscale che incentiva il rientro dei capitali all’estero, e – dall’altra – ha innescato un pericolosa tenzone commerciale contro i cinesi, facendo capire chiaramente di non gradire le loro incursioni sul suo territorio. In sostanza, l’amministrazione Trump ha dato una robusta spinta alla de-globalizzazione finanziaria che sta sempre più caratterizzando l’attualità.

Peraltro l’Ocse nota che gli effetti della legislazione fiscale Usa si è attenuato, e tuttavia la quota di utili reinvestiti all’estero delle corporation americane è rimasto al di sotto dei livelli osservati fra il 2013 e il 2017. “Forse perché le società americane hanno meno incentivi a trattenere denaro nelle loro affiliate estere”, nota Ocse. In compenso gli afflussi verso i paesi del G20 non Ocse sono aumentati del 21% a fronte di deflussi stabili. Ovviamente ci sono molte differenza a livello geografico.

A fronte di questa situazione, Giappone, Stati Uniti e Germania rimangono le fonti più rilevanti di FDI nel mondo. Gli Usa hanno originato flussi negativi nel primo trimestre 2019, recuperando poi nel secondo. In ogni caso sono diminuiti anche i dividendi pagati alle case madre dalle affiliate esteri, forse in conseguenza della crisi economica. La quale, a bene vedere potrebbe essere la conseguenza e non la causa, di questa incipiente de-globalizzazione. Ma sembra complesso non solo da capire, ma anche da accettare.

(2/fine)

Puntata precedente: La scomparsa degli investimenti diretti internazionali

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