La Fed riapre i rubinetti: l’anno nuovo potrebbe regalare un QE4 agli Usa
Una bella analisi pubblicata da Credit Suisse pone sul tappeto delle eventualità una circostanza sulla quale nessuno avrebbe scommesso prima del settembre, quando si registrarono notevoli torbidi sul mercato dei repo. Ossia che la Fed possa riprendere gli acquisti di asset lanciando un quarto round di QE, ipotizzando che l’intervento possa avvenire addirittura entro la fine dell’anno.
In effetti la settimana scorsa la banca centrale ha dovuto nuovamente annunciare alcune misure che fanno il paio con quelle decise dopo l’emergenza del settembre scorso, quando il mercato dei repo entrò in fibrillazione a cause di alcune ragioni tecniche che abbiamo già esaminato. Ma evidentemente non è ancora bastato. Secondo quando riportato dal Financial Times da qui a fine anno la Fed metterà sul piatto almeno mezzo trilioni di dollari per provare a evitare una carenza di liquidità a fine anno, quando una serie di questioni legate ai requisiti di capitale potrebbe generare un’altra crisi come quella di settembre.
Insomma: la liquidità negli Usa continua a rimanere scarsa, malgrado, proprio in conseguenza dei disordini di settembre sul mercato monetario, la Fed abbia annunciato che avrebbe immesso liquidità al ritmo di 60 miliardi al mese fino ai primi mesi del prossimo anno. Una mossa necessaria per evitare che la carenza di liquidità , determinata dal prosciugarsi delle riserve delle principali banche americane che garantiscono il funzionamento dei repo, finiscano col danneggiare gravemente uno dei segmenti più sensibili e complessi del mercato finanziario statunitense, che ha chiari impatti su quello globale.
All’essiccarsi delle riserve hanno contributo vari fattori, che sono stati analizzati compiutamente nell’ultima rassegna trimestrale della Bri, la banca dei regolamenti internazione di Basilea, che proprio al mercato dei repo Usa ha dedicato un approfondimento molto istruttivo. Fra le altre cose è emerso che a peggiorare la carenza di liquidità ha contribuito la notevole richiesta di fondi arrivata dal Tesoro Usa, che dopo la rimozione del debt ceiling ha iniziato a collocare titoli di stato incrementando il saldo del suo conto presso la Fed e così contribuendo al drenaggio di liquidi dal sistema finanziario.
Quest’evento, tutto sommato circostanziale, si è sommato a quello sostanziale determinato dalla decisione della Fed, che ormai data due anni, di far dimagrire il proprio bilancio, con ciò riducendo naturalmente la quantità di riserve disponibili per le banche. Queste ultime, infatti, quando cedono titoli alla banca centrale, nell’ambito delle operazione di quantitative easing, ricevono in cambio riserve mentre la banca centrale aumenta il suo bilancio sul lato degli asset. Quando la Fed riduce il bilancio, si verifica il movimento inverso. La liquidità viene drenata dai mercati.
Il problema è che la lunga consuetudine al QE, unita a vari cambiamenti regolamentari e alla “sete” di fondi del governo, potrebbe aver cambiato in maniera strutturale la domanda di liquidità nel mercato monetario, di fatto aumentando la pressione sulle banche che agiscono su questo mercato. Anche perché ormai la parte preponderante di questo lavoro lo fanno quattro grandi branche sulle quali si è scaricata la domanda crescente di liquidità che ha condotto all’impennata dei tassi repo di settembre, mitigata con speciali iniezioni di liquidità da parte della Fed.
L’analisi del Credit Suisse aggiunge un altro tassello allo scenario. Ossia la circostanza che la Fed possa essere costretta a rivedere drasticamente le sue scelte di politiche monetaria. Dopo aver tagliato di nuovo i tassi, e quindi interrotto il loro percorso di normalizzazione, la Fed potrebbe rivedere anche la decisione di interrompere il QE. Potrebbe esserci quindi un QE4, magari presentato con una diversa formula per renderlo “politicamente” digeribile. Ma a questo punto faremmo meglio a chiamarlo QI: quantitative infinite.