La rivoluzione della moneta digitale del sistema dei pagamenti
Poiché a volte la suggestione aiuta a comprendere meglio, proviamo a figurarci da qui a pochi anni alle prese con un acquisto. Avremo in mano il nostro smartphone, ovviamente. Dobbiamo pagare un piccolo importo, e ci accorgiamo che i contanti che teniamo in tasca non sono sufficienti. Il fornitore non ha un sistema di pagamenti elettronici – mettiamo che sia un ambulante – ma questo non rappresenta alcun problema. Apriamo la nostra app Mymoney, chiamiamola così, dove teniamo i nostri euro digitali, ci facciamo fornire le coordinate dell’account del fornitore, che ovviamente è censito sulla app come tutti i soggetti economici del paese, e gli accreditiamo la somma richiesta. Quest’ultima potrebbe essere registrata nel conto corrente bancario che lavora come sottostante nell’app, ma anche no. Può anche semplicemente essere depositata nel borsellino elettronico dell’app, come se fosse – perché lo è, solo che anziché essere analogico è digitale – denaro contante. Con la differenza che il denaro digitale è “in chiaro”, a differenza di quello analogico che com’è noto tende al “nero”.
Scena seconda. Immaginiamo di non avere un conto corrente, ma di voler effettuare dei pagamenti elettronici. Esempio: un ragazzo che vuole comprare un videogioco on line. Dispone di denaro contante ma non denaro elettronico (carte di credito o di debito). Delle due l’una: o convince un genitore a fornire una carta di credito, oppure usa la sua app Mymoney per creare denaro digitale convertendo gli euro analogici in suo possesso in euro digitali tramite un intermediario autorizzato – una banca, ad esempio, ma anche un operatore telefonico, visto che tutto passa dallo smartphone – e quindi procede all’acquisto on line utilizzando i normali canali. In questo caso anche i soggetti non titolari di conti correnti, possono partecipare all’economia digitale, ossia al futuro.
Questi due scenari, impensabili fino a pochi anni fa, oggi sono addirittura probabili. Già molti forniscono servizi acquistabili col credito telefonico. E non tanto perché il progresso tecnologico li ha resi possibili, ma perché la trasformazione del contante analogico in contante digitale ormai è diventato un pensiero ricorrente di molte banche centrali, alcune delle quali – lo abbiamo visto col caso cinese – già in fase avanzata di sperimentazione.
Un buon modo per introdursi al tema, è leggere un resoconto del poderoso sforzo messo in campo dalle banche centrali pubblicato di recente dalla Bis di Basilea, che – non certo a caso – sta dedicando al tema molto tempo ed energie. Lettura illuminante per la semplice ragione che mostra con chiarezza come ai piani alti del sistema finanziario, dove vivono creature straordinarie come il sistema dei pagamenti, ci stiano pensando eccome a cambiare un volta per tutte le regole di un gioco che minaccia di marginalizzare coloro che in questi anni – per non dire secoli – ne sono stati gli indiscussi protagonisti, ossia banche commerciali e banche centrali.
Queste ultime in particolare, aspirano a diventare le capofila di questa modernizzazione, e per una pluralità di ragioni, che sono esistenziali, ma anche e soprattutto tecniche. Nel momento in cui una compagnia privata – Facebook con la sua Libra – dice di essere pronta a lanciare una stable coin globale, vuol dire che è arrivato il momento di ribadire a chiare lettere, e azioni ancor più chiare, che in certi campi gli incumbent hanno molte carte da giocare. E questa consapevolezza data ormai qualche anno.
Lo studio della Bis, da questo punto di vista, è di notevole utilità. A cominciare dall’esordio, quando ci ricorda che “nel corso dei secoli onde su onde di nuove tecnologie di pagamento sono emerse per incontrare la domanda della società”. Dal che si deduce che ci troviamo in uno di questi tornanti della storia.
D’altronde è dal lontano 1987, quando l’idea della moneta digitale di banca centrale fu lanciata da James Tobin, che questo oggetto esotico circola fra i pensieri di economisti e banchieri, anche se non con troppa convinzione. I tempi, d’altronde, erano tutt’altro che maturi, al contrario di oggi. Ne sia dimostrazione un semplice dato: alla fine del 2019 alcune banche centrali, che rappresentano un quinto della popolazione mondiale, hanno fatto sapere di ritenere probabile l’emissione da parte loro di una moneta digitale molto presto, mentre l’80% delle banche centrali sotto l’occhio della Bis sono impegnate in ricerche, sperimentazioni e sviluppo di progetto sulle CBDCs (Centrale Bank Digital Currency). Un interessente crescente, insomma, e soprattutto visibile.
Non siamo ancora arrivati al punto in cui una grande banca centrale abbia deciso di emettere moneta digitale, ma comunque se ne parla, e parecchio. Si discutono le diverse implicazioni – legali, finanziarie e sociali – e soprattutto si cerca di capire che tipo di utilizzo se ne possa fare. Se, ad esempio, limitarne la circolazione solo fra gli intermediari, o anche nel settore retail. Oppure che tipo di tecnologia debba avere come sottostante.
A livello di architettura, invece, si possono immaginare tre tipi di soluzione: una direct CBDC, dove il sistema dei pagamenti viene gestito direttamente dalla banca centrale e quindi la moneta è un credito diretto nei confronti dell’istituto di emissione, che gestisce le transazioni ed esegue i pagamenti; una intermediate CBDC, dove la moneta digitale circola solo fra gli intermediari, che la scambiano fra di loro ed eseguono i pagamenti verso il settore retail; una hybrid CBDC, dove la moneta digitale circola sia a livello retail che fra gli intermediari. Quest’ultimo è il modello che sta sollevando più interesse. E non è difficile capire perché. Basta ricordare i due scenari che abbiamo immaginato all’inizio di questo articolo.
Rimane il fatto di un interesse crescente, e soprattutto sempre più positivo, verso l’emissione di questa moneta. Gli speech nei quali si evidenziamo i vantaggi ormai hanno superato di gran lunga quelli scettici.
Il combinato disposto spiega perché il tema delle monete digitali sia diventato ospite fisso nell’attività delle banche centrali, come il grafico sotto ci suggerisce.
Il caso cinese, come si indovina, è uno dei più avanzati. Ma non è l’unico.
(2/segue)
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