Lezioni per una moneta digitale dall’Olanda del XVII secolo

Poiché nulla meglio del passato serve da ammaestramento per il futuro, specie quando il presente gli somiglia, vale la pena leggere la quarantina di pagine scritte da alcuni economisti della Bis che raccontano la storia della Banca di Amsterdam iniziata nel XVII secolo, conosciuta bene dagli specialisti ma meno dai frequentatori occasionali delle cronache del central banking, malgrado quell’istituto sia stato uno dei primi a funzionare in un modo assimilabile a una moderna banca centrale, e soprattutto abbia ispirato non poco i fondatori di un’altra celebre banca che farà la storia: la Banca d’Inghilterra.

Rimarremmo, tuttavia, nel campo della conoscenza storica se il paper si limitasse a ripercorrere la storia secolare dell’istituto olandese. Molto più interessante, ai fini della nostra contemporaneità, trarre altri insegnamenti che afferiscono a una tematica di stringente attualità che abbiamo ripercorso anche di recente: le stablecoin e le monete digitali di banca centrale.

Per quanto possa sembrare strano ai non addetti ai lavori, infatti, la Banca di Amsterdam è stata l’antesignana di una moderna stablecoin e la sua storia consente di ricavare qualche insegnamento utile per la gestione, da parte di un istituto di emissione, di una moneta digitale, cosa che ormai si avvicina a diventare realtà per buona parte delle banche centrali moderne. Conviene perciò armarsi di pazienza e spirito curioso e iniziare a sfogliare il paper, partendo ovviamente dall’inizio della storia.

La Banca di Amsterdam fu fondata nel 1609 e rimase in vita fino al 1820. Divenne talmente celebre che anche Adam Smith ne parlò nella Ricchezza delle Nazioni. La sua celebrità derivava dall’essere una banca di deposito pubblico. Quindi forniva moneta all’ingrosso account-based, ossia basandosi su conti nominativi.

In sostanza faceva ciò che in qualche modo fanno oggi le banche centrali, che forniscono moneta di banca centrale alle banche commerciali che tengono conti correnti presso di loro dove depositano le proprie riserve. Proprio come una banca centrale, la Banca di Amsterdam (BdA) si occupava di regolare i crediti e i debiti dei propri clienti. Ciò per dire che sicuramente il progresso tecnico ha cambiato il mondo, rendendo tutto molto più veloce e immateriale, ma la logica di funzionamento è cambiata poco.

“La prima incarnazione della Bank of Amsterdam – scrive la Bis – somigliava a ciò che noi
oggi conosciamo come “stablecoin”, dove la moneta account-based è garantita da asset di valore stabile”. Il termine “stablecoin” è divenuto di uso comune nell’economia  monetaria solo di recente, da quando si è iniziato a parlare di valute digitali private come Libra di Facebook. E tuttavia la logica della “stablecoin” era la stessa che guidava la BdA: “La sua moneta account-based era sostenuta da monete d’argento e d’oro (“safe asset”)”. Proprio come oggi Libra ha come safe asset un paniere di valute stabili.

A differenza di una moderna banca centrale, tuttavia, la BdA non poteva creare alcun deposito che non fosse sostenuto da moneta metallica presente fra i propri asset e inoltre all’inizio non poteva prestare: la sua moneta era il riflesso passivo dei suoi attivi, anche in questo ricordando una moderna stablecoin.

Il vantaggio della BdA nell’effettuare i regolamenti consisteva sostanzialmente nella provvigione (“agio”) che ne derivava e che la gran parte della durata dell’istituto fu intorno al 5%. In sostanza la banca si faceva pagare per un servizio che veniva apprezzato anche perché la BdA era un’istituzione pubblica, di proprietà della City di Amsterdam, che stava nel cuore finanziario del secolo d’oro olandese. Ciò che favoriva anche il suo ruolo di fornitore di liquidità.

Col tempo, e in conseguenza della fiducia che la BdA riuscì a sostenere, l’istituto iniziò a somigliare sempre più a una banca centrale moderna. La sua moneta, di conseguenza, prese sempre più le sembianze di una fiat money, pure se la banca manteneva la possibilità di redimere i depositi in metallo, come era in origine. In tal senso la definizione di “proto central bank” contenuta nel paper calza a pennello.

Ciò che manco all’istituto olandese, e che in fin dei conti ne determinò il declino e poi la crisi culminata nella liquidazione fu il sostegno fiscale dello stato. A differenza delle banche centrali moderne, che tecnicamente non possono fallire, pure se possono generare notevoli disordini, come abbiamo illustrato in una mini-serie di qualche tempo fa, la BdA era distinta e distante dal governo olandese.

Per quanto posseduta dalla City, mancò al momento del bisogno il sostegno del governo attuato tramite trasferimenti fiscali. Quando si arrivò al culmine della crisi, durante la quarta guerra anglo-olandese (1780-84), la banca iniziò a prestare massicciamente alla Compagnia olandese delle Indie Orientali e alla città di Amsterdam.

Il gioco durò finché durò la fiducia nella Banca. Poi le perdite cominciarono ad erodere le riserve metalliche fino a quando l’istituto fallì. Era il 1820. Dalle sue ceneri sorse la Nederlandsche Bank, una banca centrale a tutti gli effetti.

“La conclusione principale del nostro studio – scrivono gli autori – è che la Banca di Amsterdam si trovò in una posizione difficile: tra una stablecoin rigida e una banca centrale a tutti gli effetti, senza il sostegno fiscale dello Stato. La città di Amsterdam non ha potuto giocare il ruolo di una moderna autorità fiscale: mancava dei poteri fiscali di
tassazione generale che sono oggi nelle mani dei governi. Questo essere a metà strada si è rivelata insostenibile”.

Da qui deriva la lezione per il presente che diventerà presto futuro. Una stablecoin rigida “non è adatta come base per un sistema monetario moderno”. Non bastò all’epoca, e figuriamoci oggi. Tenere in piedi un sistema dei pagamenti implica “un uso attivo del bilancio della banca centrale”, e “la fiducia nel denaro della banca centrale, come unità di conto, è la base di un tale sistema”.

Nel caso della BdA, le funzioni che si trovò a svolgere come punto centrale del sistema finanziario olandese esondarono dalla sua capacità istituzionale di fronteggiarle nei momenti più difficili. Problema che una moderna banca centrale non ha.

La seconda lezione è che per svolgere il suo ruolo una banca centrale ha bisogno del sostegno fiscale del governo. Nulla si crea, insomma, neanche il denaro di banca centrale. Si tratta, anche in questo caso, di redditi futuri che vengono mobilitati sul presupposto che il governo, tramite la leva fiscale, sia capace di sostenerli. “Il supporto finale per il valore del denaro – ammoniscono i nostri autori – è la solvibilità del settore pubblico”. Farebbero bene a ricordarlo i tanti sostenitori del denaro infinitamente riproducibile.

La terza lezione è quella più attuale: “La tecnologia alla base del denaro è avanzata nell’era digitale, ma l’economia alla base del denaro no”. Per dirla con le parole degli autori, “Sound money still needs sound governance”.

Una stablecoin può servire, ma non può arrivare alla versatilità che si richiede a una moneta, a differenza di quanto possono fare le CBDC, le monete digitali di banca centrale. Questa storia, iniziata nel XVII secolo, ci ha condotto a questa conclusione. Che prepara un nuovo inizio.

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