Le banche centrali alle prese col fantasma della diseguaglianza

A voler pensar male si potrebbe notare che mai le banche centrali hanno parlato così tanti di diseguaglianza da quando hanno iniziato ad allentare allo spasimo le politiche monetarie.

Notate come il termine “diseguaglianza” ricorra sempre più spesso nei discorsi dei banchieri centrali, col trascorrere degli anni ’10, durante i quali le banche centrali non hanno certo risparmiato.

Discorsi, peraltro, nei quali si finisce sempre col concludere come ha fatto anche di recente anche il direttore generale della Bis: “La disuguaglianza non è un fenomeno monetario a lungo termine. Tuttavia le banche centrali sono pienamente consapevoli delle conseguenze delle loro azioni sul reddito e sulla distribuzione della ricchezza su orizzonti più brevi”. Nel senso che queste azioni, incidendo sostanzialmente sul valore degli asset, possono generare diseguaglianze favorendo chi ha più rispetto a chi ha meno. Ma sono effetti “neutri” nel lungo periodo, quando, evidentemente, oltre ad essere tutti morti, saremo finalmente anche tutti uguali.

Scherzi a parte, il tema della diseguaglianza orma gareggia con quello del clima fra le ossessioni pubbliche. Pure se, come abbiamo già osservato altrove, questa parola nasconde molti significati e richiederebbe molte precisazioni. Una la fa anche il nostro banchiere, confrontando l’indice di Gini – nota misura della diseguaglianza – prima e dopo l’intervento di redistribuzione del reddito effettuato dal governo tramite il fisco, quindi tasse e trasferimenti.

Avevamo già osservato altrove questa differenza sostanziale, ma vale sempre la pena ripetere la cosa perché serve (dovrebbe servire) a ricordarci che la realtà è molto diversa a seconda degli occhiali che si sceglie di indossare per osservarla. Se guardassimo la curva trentennale di Gini dopo tasse e trasferimenti, probabilmente l’effetto sarebbe molto diverso. Ma ciò tuttavia non basterebbe a placare l’ansia dei nostri banchieri centrali, che evidentemente devono covare un qualche senso di colpa.

Non solo loro, ovviamente. Per una serie di ragioni parlare di diseguaglianza pare serva a placare i nervosismi della popolazione, oltre a consentire alle autorità di mandare segnali rassicuranti circa la loro volontà di occuparsene. Il retropensiero – ossia che se il reddito fosse più equamente distribuito saremmo tutti più felici – evidentemente piace a tutti, al punto che ormai tutti i governi delle economie avanzate, e i loro organismi internazionali, hanno messo il tema in cima alle loro agende. Come il clima, appunto, altro ospite fisso ormai da qualche anno nei pensieri delle banche centrali.

Se limitiamo il discorso al campo di competenza delle banche centrali, vale la pena riportare un’altra osservazione del direttore generale della Banca di Basilea, laddove nota che pur non disponendo degli strumenti utili per redistribuire il reddito, le banche centrali “possono fare molto per contribuire a una società equa rispettando i loro mandati”. Ossia “cercando di mantenere l’economia in equilibrio, in modo che prevalgano la stabilità dei prezzi, insieme a quella finanziaria e macroeconomica. L’inflazione elevata e le recessioni possono essere estremamente costose per la disuguaglianza”.

Il fantasma della diseguaglianza, quindi, oltre ad agitare i sonni dei banchieri centrali e dei governi, è anche un ottimo stimolo a fare la cosa giusta. Proprio come i green bond. Non solo per le banche centrali, ovviamente. “Altre politiche devono fare la loro parte: prudenziali, fiscali e strutturali”. Poi dicono che i fantasmi non esistono.

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