Alle radici dell’inflazione. Il rincaro del trasporto merci

Poiché rischia di essere di poca utilità guardare dove guarda la maggioranza, proviamo a osservare ciò che di solito si trascura, distratti come siamo dal trambusto delle voci in coro, per aggiungere qualche nuova tessera al composito puzzle che disegna l’immagine di questa tremenda inflazione che si è abbattuta sulle nostra economie come la classica piaga biblica. Così come prima non si vedeva come potesse iniziare, adesso non si vede come possa finire.

Perciò vale la pena provare ad osservare l’aumento dei prezzi nel suo dispiegarsi di ragioni che lo motivano. Oltre alle solite che conosciamo bene, intendo dire. E’ chiaro che i prezzi salgono perché la pandemia e la guerra, eccetera eccetera. Però, come abbiamo accennato parlando di dazi, non è tutto qua.

Oggi ci occupiamo di un’altra voce di costo, che ovviamente dipende anch’essa dalla pandemia e la guerra, ma non solo. Ci riferiamo al costo dei trasporti internazionali di merci, al quale Bankitalia ha dedicato un recente approfondimento che contiene molte informazioni utili.

I dati sono riferiti a tutto il 2021, il secondo anno che confermava il trend ascendente dei costi di trasporto, riferiti sia alle merci esportate che a quelle importate. Quanto alle prime, l’aumento è stato del 3,3 per cento a fronte del 3,1 del 2020. Per le importazioni, si è arrivati al 4,9 per cento del 2021, a fronte del 4,3 del 2020.

Notate che i rincari dell’ultimo biennio hanno interrotto un trend discendente che proseguiva da oltre 15 anni. E se concentriamo la nostra attenzione sui costi di trasporto delle importazioni, notiamo che solo quelli che più di tutti hanno patito i rincari.

Questi ultimi si sono concentrati sui trasporti marittimi, che più volte abbiamo osservato essere particolarmente penalizzanti. Ma queste tensioni si osservavano anche molto prima della pandemia. Il notevole rincaro dei container ha coinvolto le rotte che vanno e tornano in Cina e dal resto dell’Asia, nonché per quelle che conducono in Nord America. Sono quelle che hanno patito i maggiori rincari e non certo casualmente, visto che sono le più affollate.

Rincari peraltro non distribuiti in maniera uniforme. Nel bulk liquido, ossia il materiale sfuso che comprende ad esempio il petrolio e i suoi derivati, il costo dei noli è diminuito a causa di un eccesso di offerta di stiva, mentre nel bulk solido – ad esempio minerali e granaglie – è accaduto il contrario. Altrettanto nel comparto general cargo.

Nel settore RoRo, ossia del trasporto di veicoli stradali, i costi sono rimasti stabili. Al contrario, nel trasporto aereo i noli sono ai massimi storici a causa soprattutto della ridotta disponibilità di stive per la drastica diminuzione dei voli indotta dalla pandemia.

In aumento anche i costi medi nei trasporti terrestri, che hanno dovuto fare i conti con l’aumento del costo dei carburanti. Soprattutto se allunghiamo il periodo di osservazione notiamo come il trend di rincari per i trasporti stradali sia ormai consolidato.

Questi dati, è bene ripeterlo, sono relativi al 2021, quindi prima della guerra. E già allora avevano provocato un sensibile peggioramento del deficit dei trasporti mercantili della nostra bilancia dei pagamenti, arrivato a 10,9 miliardi di euro, a fronte dei 6,8 del 2020.

Su queste tendenze, l’impatto della guerra non sarà certo benefico. Bankitalia non si sbilancia in previsioni, ma è ragionevolmente immaginabile che il drastico peggioramento dei costi energetici e le frizioni che ancora insistono sul lato dell’offerta ci conducano verso un peggioramento di questo deficit, e quindi a un aumento ulteriore dei costi di trasporto. Non sarà questo che porterà l’inflazione a due cifre. Ma darà un buon contributo.

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