La materia oscura dell’inflazione

Poiché ci hanno spiegato e ripetuto quale siano le cause meccaniche dell’inflazione – la pandemia, la guerra, le catene di fornitura, lo shock energetico eccetera – proviamo a alzare un attimo la testa e guardiamo alla sostanza sottile che ne anima le dinamiche, sicuramente più sfuggente e perciò magari fondamentale. Nel senso che può aiutarci a spiegare la crescita della componente di fondo dell’indice ossia quella depurata dai prodotti alimentari e beni energetici.
Tale componente si è rivelata essere assai robusta negli ultimi mesi, nel nostro paese come altrove, ma questo non vuol dire che siamo tutti uguali. Ogni inflazione ha la sua storia, e anche ogni paese.
Per provare a capire un po’ meglio il nostro, e quindi valutare correttamente i rischi verso cui andiamo incontro in un contesto inflazionistico, prendiamo a prestito da una riflessione di Paolo Baffi, che di recente il governatore di Bankitalia Vincenzo Visco ha riproposto nell’ambito di una lectio magistralis alla Camera dei deputati.
Correva l’anno 1976. Baffi, governatore dell’istituto, osservò nelle Considerazioni finali come in altri paesi la legislazione offrisse alla banca centrale “una adeguata base giuridica assegnandole espressamente il compito di tutelare la stabilità monetaria”, aggiungendo tuttavia che “i brillanti risultati conseguiti dalla Germania e dall’Olanda in termini di stabilità e di sviluppo, piuttosto che alle formulazioni legislative, debbono ascriversi a un clima di opinione che al maturarsi dell’analisi e dell’esperienza ha cessato di assegnare al disavanzo durevoli effetti espansivi, o agli aumenti nominali delle retribuzioni effetti migliorativi della condizione della classe operaia in termini di reddito reale e di occupazione. (…) Il nostro paese soffre invece, oggi specialmente, di una obiettiva alleanza che promuove e sostenta l’inflazione, stretta tra le forze politiche e sociali: quelle che definiscono il contenuto del bilancio e quelle che definiscono il contenuto dei contratti di lavoro”.
Queste parole, scritte quasi cinquant’anni fa, meritano di essere ricordate, magari in forma di domanda. Siamo riusciti, come paese o come nazione, come volete, a cambiare il “clima di opinione” e capire che non serve a niente “assegnare al disavanzo durevoli effetti espansivi, o agli aumenti nominali delle retribuzioni effetti migliorativi della condizione della classe operaia in termini di reddito reale e di occupazione”?
E siamo riusciti a rompere quella perniciosa alleanza “che promuove e sostenta l’inflazione, stretta tra le forze politiche e sociali: quelle che definiscono il contenuto del bilancio e quelle che definiscono il contenuto dei contratti di lavoro”?
I posteri ci diranno, ovviamente. Ma chi legge le cronache ha qualche ragione di dubitare che siamo in grado di dare risposte affermative. Oggi, come ieri, i sindacati chiedono adeguamenti salariali, e la politica che “definisce il contenuto del bilancio” usa il fisco come cornucopia. Ed è in questo persistere che trova alimento la materia oscura che anima la nostra inflazione. Non nella guerra e neanche nella pandemia.
In realtà, l’inflazione non è altro che una delle manifestazioni specifiche che in date congiunture assume un sistema socio-economico dominato dai monopoli multinazionali. Il resto sono masturbazioni mentali, comprese quelle sul “clima di opinione” e sulla esistenza di una mentalità inflazionistica negli agenti economici, nei consumatori e nelle imprese. Fa veramente sorridere il tentativo di ricondurre le oggettive contraddizioni del sistema socio-economico (= capitalismo monopolistico) a meri fenomeni di natura soggettiva, soprattutto quando tale tentativo viene esplicato proprio da chi ci fa lezione ogni giorno sullo scarto tra aspettative soggettive e realtà oggettiva. Quarantasei anni dopo mi sarei aspettato qualcosa di ben più originale di un livello di analisi così volgare.
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