Un’inflazione non basta: ce ne sono almeno due

Un bel paper pubblicato di recente dalla Bis di Basilea aggiunge un grado in più di comprensione della straordinaria complessità che si annida dietro un fatto puramente meccanico come l’aumento dei prezzi. Ci eravamo talmente disabituati a pensare all’inflazione che avevamo dimenticato quanto fosse complicato raccapezzarsi dentro a un mondo che pare perdere la bussola. Cos’altro provoca, in fondo, la crescita dei prezzi, se non il disorientamento delle scelte di consumo e di investimento?

Questa confusione oggi è molto diffusa, come si arguisce dal grafico sopra. La tigre inflazionistica ruggisce rumorosamente in tutto il mondo dopo oltre trent’anni di (quasi) silenzio. Ed è giusto oltre che molto umano chiedersi perché, sapendo per giunta che qualsiasi ragionamento causalistico – e non serve ricordare l’insegnamento di Hume – è per sua natura parziale.

E tuttavia l’antica tradizione secondo la quale verum scire est scire per causas, che Bacone mise a cardine del suo metodo scientifico, è assai dura a morire. Questo spiega il florilegio di analisi che individuano in questa o quella ragione – il rincaro energetico, piuttosto che le strozzature sul lato dell’offerta, ma anche le politiche fiscali generose – la causa a monte di questa stupefacente e persistente ondata di rincari.

Il paper della Bis, invece, si distingue per il punto di vista, che sintetizziamo a vantaggio dei tanti che non hanno voglia di immergersi nel labirinto matematico edificato per dare sostanza dell’idea di fondo – la matematica come linguaggio della scienza è un altro retaggio del Seicento che non si decide a passare di moda – proposta dagli economisti.

In sostanza, l’idea è molto facile a dirsi: l’inflazione non è un fenomeno univoco. Dietro l’aumento dell’indice si annidano complessità che lasciano ipotizzare che esistano almeno due stati inflazionistici, uno di bassa e uno di alza inflazione, che condizionano l’evoluzione dell’indice. Per dirla diversamente: la stessa causa – visto che comunque dobbiamo conoscere per causas – ha effetti diversi a seconda se lo stato inflazionistico è diverso. Si potrebbe chiedersi se questo stato sia un fatto psicologico – un mindset, per dirla in inglese – oppure un fatto oggettivo inerente nella meccanica dei prezzi, ma si rischia di perdersi in dispute filosofiche d’altri tempi.

Più interessante capire significhi e cosa comporti questa idea. Una prima risposta la troviamo nell’osservazione che “l’inflazione tende ad auto-stabilizzarsi in un regime di bassa inflazione, ma perde quella proprietà quando passa a un regime di alta inflazione”. Detto diversamente i prezzi accelerano di più quando lo stato dell’inflazione cambia. L’inflazione, quindi, è relativa al rispetto al regime di riferimento, non agisce all’interno di uno stato “assoluto”. Di conseguenza “man mano che l’inflazione aumenta al di sopra di livelli molto bassi, diventa un punto focale per i lavoratori e le imprese. Ciò aumenta la probabilità di spirali salari-prezzi”. Il cambio di regime inflazionistico, insomma, è di per sé inflazionistico.

Un’altra osservazione che vale la pena sottolineare è quella che ha a che fare con la politica monetaria. In regime di bassa inflazione, dicono gli autori, funziona poco. Una conclusione che sembra confermare le osservazioni dell’ultimo ventennio di politiche monetarie ai confini dello sconsiderato senza effetti sull’inflazione, ostinatamente bassa.

Ma se si passa al regime di alta inflazione, la politica monetaria recupera la sua efficacia. Traduzione: occorre alzare senza indecisione i tassi di interesse.

I più curiosi potranno leggere da soli il resto. Per quel che serve al nostro discorso, basta ricordare che questa sorta di teoria della relatività dell’inflazione – inflazione relativa al mindset del sistema economico – ha il vantaggio di ricordarci che noi esseri umani siamo leggermente più complicati di un’equazione differenziale o di un algoritmo. Quello che coviamo nella nostra testa è molto misterioso e assai più importante di quello che ci dice un modello matematico. Persino il modello l’ha capito. Noi ancora no.

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