L’incertezza come fattore di riequilibrio dell’economia

Sono passati più di cent’anni da quando Frank Hyneman Knight pubblicò Risk, Uncertainty and Profit, libro ormai ricordato solo dagli addetti ai lavori e neanche troppo. Quel 1921, peraltro, anche Keynes pubblicò un libro assai meno celebre del suo Le conseguenza economiche della pace, pur se molto interessante: Il Trattato delle probabilità.

Quell’inizio di anni Venti caratterizzò un periodo, durato per tutto il ventennio trascorso fra le due guerre, durante il quale il pensiero economico conobbe una straordinaria fioritura, raccontata in un altro libro dimenticato di G.L.S Shackle (Gli anni dell’alta teoria : invenzione e tradizione nel pensiero economico, 1926-1939), nel quale proprio la “scoperta” del concetto di rischio, inteso come quantità stimabile utilizzando il calcolo delle probabilità, e il riconoscimento dell’incertezza sostanziale di ogni futuro fu l’attivatore della lenta e costante erosione del mondo magico disegnato dagli economisti nel XIX secolo: quello di Walras, Jevons e altri, della quale sempre Keynes sarà il culmine e insieme l’epigono con la sua Teoria generale.

Ricordare questa bibliografia non è un vezzo da erudito, ma un semplice promemoria per leggere l’attualità con un occhio appena più smaliziato di quello di un osservatore occasionale. Un tentativo di riflettere su quella che è la sostanza della realtà che proprio in quegli anni fu messa a fuoco dal pensiero economico. Ossia il fatto, per dirla con le parole di Shackle, che “del futuro non sappiamo nulla”. Quindi è incerto, non semplicemente rischioso.

E per fortuna, dovremmo aggiungere. L’incertezza che avvolge il futuro, e quindi sostanzialmente il rifiuto di ogni determinismo, a cominciare da quello meccanico dell’attuale panoplia di strumenti previsionali messi a disposizione dai ricercatori, è la migliore garanzia che abbiamo circa la “libertà” del tempo a venire. Proprio l’incertezza ci mette al sicuro, potremmo dire con un certo gusto per il paradosso.

Questa sensazione traspare chiaramente in tutti i vari bollettini che le varie agenzie pubblicano regolarmente. Oggi recitano il mantra che i rischi di avere una crescita fragile – Ocse dixit nel suo ultimo outlook – sono al rialzo. E quando leggiamo questa frase dobbiamo ricordare che la parola rischio è usata in senso probabilistico, ossia come funzione di un calcolo elaborato da un sofisticato algoritmo che elabora dati sostanzialmente riferiti al passato per quotare una probabilità di avere un certo evento in futuro. In questo caso una crescita sotto il livello tendenziale (a sua volta costruito sui dati del passato).

I calcolatori, insomma, sono solo in grado di elaborare rischi perché non hanno alcun modo di confrontarsi con l’incertezza. Detto semplicemente: non conoscono il futuro. Neanche noi uomini abbiamo questa facoltà. Ma per la semplice ragione che dovremmo aver capito che il futuro non è un cassetto chiuso del quale dobbiamo indovinare il contenuto che qualcuno ci ha messo dentro. Ma semmai è un cassetto chiuso che dobbiamo riempire di contenuti. E che quindi dobbiamo aprire prima di popolarlo. Per farlo non serve essere indovini. Serve avere immaginazione.

Ciò per dire che l’incertezza può divenire anche un fattore di riequilibrio dei tanti squilibri che popolano la nostra economia internazionale, se la si lascia lavorare. A patto, certo, di non averne paura.

Un Commento

  1. Eros Barone

    Il futuro non è semplicemente un’addizione del presente, così come l’adolescenza non lo è dell’infanzia. Tuttavia, il primo deve essere rilevabile nel secondo. Il che non significa però che questo futuro potenziale sia destinato a concretizzarsi, così come non è detto che un bambino arrivi all’adolescenza (potrebbe morire prima a causa di una malattia incurabile, ad esempio). Dunque, il futuro non è aperto in senso assoluto e il compasso dell’incertezza serve a misurare l’ampiezza o, come nel caso attuale, la ristrettezza della sua apertura. Insomma, a meno che un asteroide colpisca il nostro pianeta e metta fine alla razza umana, non può succedere qualsiasi cosa. Vi sono poi le false rappresentazioni del futuro, un esempio delle quali è la compiaciuta visione ‘evoluzionista’ (magari con un pizzico di incertezza per insaporire una pietanza così sciapa). In base a questa visione il futuro non è altro che un presente più o meno espanso. Questo è il modo in cui ai nostri governanti piace immaginare il futuro: migliore del tempo che l’ha preceduto, ma sempre sulla sua scia. Scompaiono i traumi o i cataclismi, mentre cresce in modo costante tutto ciò che è già in nostro possesso. Fino a poco tempo fa, si parlava a tale proposito di “fine della storia”: una teoria che ha pagato duramente lo scotto di essere indipendente dalla drammaticità dei mutamenti sociali e di non saper riconoscere che il futuro possa risultare anche molto peggiore del presente, l’unica certezza essendo che sarà sicuramente diverso rispetto al tempo che l’ha preceduto. Del resto, uno dei motivi che spiega il fallimento dei mercati finanziari, avvenuto con la crisi del 2007-2008, è che essi si fondavano su modelli che prospettavano un futuro molto simile al presente. Un terremoto, foss’anche di natura finanziaria, non è un accadimento del tutto imprevedibile o una colpa da ascrivere alla natura (a meno che con tali termini non si indichi la parte non dominata, e tuttavia così vasta, di quella bestia feroce che, come ben sapeva l’autore del “Trattato delle probabilità”, è l’economia capitalistica). Un terremoto di quel tipo va invece imputato, come scriveva Niccolò Machiavelli, a chi «non ha ordinato virtù a resistere».

    "Mi piace"

    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      il Trattato delle probabilità temo lo abbiano sfogliato in pochi e letto ancor meno. Peccato perché contiene informazioni preziose sullo spirito dei tempi che hanno animato le riflessioni sul significato di futuro e della sua prevedibilità.
      Non sono convinto che Keynes ritenesse l’economia capitalista come lei la definisce, ma sicuramente aveva contezza del fatto che nell’incertezza trovava di che nutrirsi, anche se a costo di clamorosi errori.
      Ma chi guarda gli errori e basta finisce sempre con lo scambiare il dito con la direzione.
      Grazie per il commento.

      "Mi piace"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.