Le conseguenze economiche dell’IA generativa

Considerate quel che segue come un semplice assaggio di ciò che sarà, mano a mano che l’IA svolgerà i suoi effetti. Perché il punto saliente, in un mondo che ama il profitto almeno quanto dice il contrario, è capire se le aziende troveranno una loro convenienza ad utilizzare le varie Chat Gpt che sorgeranno da qui all’eternità.

Perciò diamo il benvenuto a uno studio recente pubblicato da NBER che già dal titolo – Generative AI and firm values – ci dice quel che dobbiamo sapere, e ricordare, di questa tecnologia. Ossia che avrà un futuro in misura diretta dei profitti che saprà produrre, essendo in fondo la creazione di valore l’unica cosa che davvero si chiede di generare all’intelligenza artificiale, visto che a quanto pare quella umana non basta più.

Ed ecco l’esercizio, perciò, che in quanto tale va considerato nulla di più di quel che è: un pacchetto di dati costruito sulla base di alcune ipotesi. In particolare, ci si propone di osservare la valutazione delle aziende, misurata attraverso gli indici di borsa, utilizzando come discriminante il diverso livello di esposizione all’uso di Chat Gpt, a partire dal momento in cui la tecnologia è stata rilasciata e nell’arco di un certo periodo di tempo.

Inutile stare a sottolineare la fragilità di questa costruzione. Come dicevo in apertura, è solo l’inizio dello show e peraltro chiunque frequenti la modellistica internazionale sa bene quanto siano esili le base epistemologiche di queste costruzioni intellettuali che finiscono tuttavia per diventare così influenti.

Fatte salve le premesse, arriviamo alle conclusioni. Ecco la prima che dobbiamo tenere a mente: “La scoperta chiave è che l’arrivo di ChatGPT ha avuto un considerevole effetto positivo sul valore delle imprese la cui forza lavoro è maggiormente esposta all’IA generativa e ai relativi modelli di linguaggio esteso”. Chi l’avrebbe mai detto.

Farà sicuramente piacere alle aziende editoriali, per dirne alcune. Le compagnie con un alto livello di esposizione della loro forza lavoro ad essere maggiormente produttive con l’uso di IA hanno sovra-performato di 40 punti base quelle con minore esposizione. Ma non solo nei loro confronti: anche rispetto a quelle con esposizione neutra.

I canali tramite i quali arrivano questi aumenti di valore sono due. Il primo è un puro flusso di cassa: meno persone, che costano di più, e più IA, che costa meno, uguale più soldi in pancia. Il secondo è un flusso di cassa “indiretto”. Il vantaggio del miglioramento tecnologico si trasferisce a tutta l’azienda, rendendola più profittevole.

Interessante osservare anche l’evento contrario, ossia che per alcune tipologie di aziende l’introduzione di IA generativa non ha sortito effetti positivi. Ad esempio per le aziende già sul mercato con una posizione “robusta”, I cosiddetti incumbent. Costoro, che hanno sicuramente fastidiose pastoie di vario genere, molto facilmente possono essere spiazzate da aziende di nuova formazione che sono native IA. Ma una volta consolidate, le prime diventano difficilmente insidiabili.

Leggendo il testo si possono scoprire altre informazioni interessanti. Ad esempio che “le occupazioni più colpite sono quelle che comportano attività con compiti cognitivi non di routine. Ciò è in netto contrasto con le scoperte precedenti secondo le quali l’automazione sostituisce principalmente occupazioni che comportano compiti di routine”.

Neanche troppo sorprendente, a ben pensarci. Più l’artificio diventa intelligente, più diventano oggetto di artificio i compiti che richiedono maggiore intelligenza. Anche scrivere un articolo può diventare una routine: dipende da come si intende questa parola e come si costruiscono i contenuti dell’articolo. E soprattutto le sue finalità. Nessuno stupore, quindi, che le attività manuali siano meno interessate a Chat Gpt: quelle che potevano essere automatizzate già lo sono state negli ultimi due secoli.

Al netto di certe ingenuità, frutto dello scarso senso storico di molti economisti, rimane il punto saliente. Questa tecnologia è un altro passo in avanti nella lunga strada umana verso l’automazione. Un sogno antico. La storia ci racconta, fra i tanti esempi possibili, del sogno degli inventori settecenteschi, alla ricerca del nuovo Adamo biblico purgato dal peccato originale, di costruire l’automa immortale che avrebbe sostituito l’uomo. E, soprattutto, ci dice che questo processo non solo è profittevole, ma anche inarrestabile, almeno fino a quando esiste energia sufficiente ad alimentare le macchine.

Questo è il succo del discorso. Che poi questa automazione si consumi nel solito ciclo distruzione-creazione, reso celebre da Schumpeter non dovrebbe sorprenderci più di tanto. Dobbiamo solo capire come gestire questa novità e ridisegnare molti modelli di comportamento.

Per farlo dobbiamo ricordare solo una semplice evidenza, che nel dibattito rimane sempre celata da montagne di paure millenaristiche: l’IA siamo noi. Se pensiamo davvero che l’IA diventerà qualcos’altro, rispetto a noi, non stiamo progettando una macchina. Ma covando l’ennesimo incubo. Il problema è che se lo facciamo tutti insieme, questo incubo può diventare reale.

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