Cartolina. La fuga del dollaro

Ormai da diversi giorni si leggono sulla stampa pensosi articoli sullo yuan cinese che minaccia la supremazia del re dollaro. Tema ricorrente da un decennio almeno. E si racconta sempre la stessa storia: la Cina sta trasformando il sistema monetario internazionale. Ora, tutto è possibile, salvo capire quanto sia probabile. E nell’attesa che un qualsiasi esperto quoti queste probabilità, contentiamoci di osservare che le statistiche Bis, relative all’ultimo quarto del 2022, mostrano un notevole calo dei crediti internazionali, si parla di circa 1,4 trilioni, più o meno equamente divisi fra prestiti e derivati, una parte robusta dei quali sono in dollari. I crediti in dollari ai paesi emergenti, in particolare, sono diminuiti di 142 miliardi, il 6 per cento in meno su base annua, il peggior declino dal 2012, che non fu un anno finanziariamente felice, come sicuramente ricorda chi ha una memoria appena più estesa della sua timeline quotidiana. Le cause sono diverse. La Bis suggerisce da una parte il rialzo dei tassi Usa e il relativo apprezzamento della moneta americana. Ma qualunque siano le ragioni, che come non ci stanchiamo di ripetere hanno poca importanza, ciò che conta è il risultato. Più che una fuga dal dollaro dei paesi emergenti, ansiosi di buttarsi fra le braccia della Cina e della sua moneta inconvertibile, c’è una fuga del dollaro da queste economie. Cominciamo da qui.

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