Le nove tigri economiche dell’Africa sub sahariana

La difficoltà più grande che si incontra, quando si parla di Africa, è che nella sua enorme massa il continente racchiude tante anime. E persino nei suo ritagli, come ad esempio la porzione sub-sahariana, diverse ancora.
Farsi un’idea chiara dell’Africa, perciò, è semplicemente impossibile. A meno che non ci si accontenti delle rappresentazioni facili. Dici Africa e subito si pensa a malnutrizione, guerre, sistemi caotici. Ma come ogni rappresentazione semplificata, anche questa è ingannevole.
Un recente rapporto del Fmi dedicato proprio all’Africa sub-sahariana ci consente di capire quanto sia difficile parlare di Africa, mostrandoci proprio come pure all’interno di questa Africa “parziale” esistano grandi differenze che si traducono in modelli di crescita molto divergenti.
Pochi sanno ad esempio, e il Fmi fa bene a ricordarcelo, che questa porzione di Africa ospita nove delle venti economie più in rapida crescita al mondo nel 2024. Solo che questa informazione non emerge nel dibattito pubblico sull’Africa perché le statistiche aggregano le performance di questi paesi a livello regionale, col risultato che le media annacquano le performance dei più bravi.
Un’altra cosa che stupirà molti, è che questa divergenza gioca a favore dei paesi che non hanno una vocazione all’export energetico. Il grafico che apre questo post lo mostra con chiarezza. Le economie che hanno fatto fortuna esportando energia fossile, come Angola, Ciad e Nigeria, hanno subito un forte rallentamento, al contrario di quanto accaduto ai paesi che hanno altre risorse a base della loro economia. Un campanello d’allarme che dovrebbe suonare molto forte nella testa dei policy maker dei paesi che contano su petrolio e gas per far girare le loro società.
Peraltro è un fatto relativamente recente. Fino al 2014 i redditi dei paesi esportatori di energia (RIC) crescevano rapidamente. Dopo questa sorte è toccata ai non-RIC, mentre quelli degli altri hanno intrapreso una stagione di stagnazione.
Ciò è stato determinato dall’andamento dei prezzi delle materie prime, che hanno iniziato un percorso di graduale declino, che si è innestato all’interno di una quadro economico e istituzionale fragile, caratterizzato da imprenditorialità poco efficace, capitale umano carente e governance globale debole. Caratteristica comune a molte economie emergenti, e non solo. In ogni caso nulla che faccia bene alla crescita economica.

A ciò si aggiunga che i soldi facili arrivati dalle risorse energetiche non hanno favorito lo sviluppo di un uso intelligente delle risorse fiscali – spesso questi paesi concedono notevoli sussidi energetici ai propri cittadini – e soprattutto di una disciplina fiscale capace di affrontare i momenti di carenza di risorse. Secondo il Fmi, in media questi paesi “petrolieri” ha finito con lo spendere tutti i suoi ricavi derivanti dalle esportazioni energetiche nello stesso anno in cui venivano realizzati. Questo ha avuto una chiara conseguenza sui tassi di crescita di questi paesi.

Questa divergenza di crescita è molto problematica nella regione sub-sahariana, visto che i paesi RIC costituiscono circa i due terzi del pil e della popolazione dell’area. Ciò ha conseguenze sulla capacità di sviluppo dell’intera zona, con l’aggravante che oggi un bambino che nasce in un RIC ha una speranza di vita inferiore di 4 anni rispetto alla media di un paese non RIC e il 25% di probabilità in più di vivere in povertà.
Si tratta, in sostanza, di aiutare questi paesi a sviluppare una governance più efficace e a diversificare l’economia, “viziata” dalla rendita petrolifera. Problema molto complesso. E non solo per i paesi africani.
