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La guerra fredda dei cavi sottomarini intorno al Sud Est dell’Asia

La nostra ricognizione sulle criticità annidate nel cuore del Sud Est asiatico, che culminano nelle tensioni crescenti attorno a Taiwan, non poteva certo trascurare il corposo viluppo di interessi che nell’area si stanno aggrovigliando insieme alla fitta ragnatela di cavi sottomarini che sono il contorno necessario dei data center che stanno spuntando come funghi fra Singapore e Busan.
Il paper della Hinrich Foundation che ha ispirato quest’approfondimento ci comunica alcune informazioni molto utili, a tal proposito, che concludono il nostro viaggio in questa zona assai strategica, e tuttavia ancora poco osservata, per il nostro futuro.
La prima cosa che dobbiamo ricordare è che la regione dell’Asia-Pacifico è stata la porzione del mondo che ha attratto maggiori investimenti nel mondo per i cavi sottomarini. Non a caso. La regione è uno dei punti di frizione più rilevanti fra Cina e Usa, e poter disporre di cavi, dove passa il 99% del traffico internet, è un notevole vantaggio. Così come è un fonte di grave problemi danneggiarli.
Nel 2008 la Fed lanciò l’allarme per un paio di misteriosi problemi a cavi sottomarini che avevano messo n crisi le normali trasmissioni di dati finanziari. La “scoperta” di questa criticità spinse la banca centrale a partecipare con un gruppo di ingegneri alla creazione della Reliability of Global Underseas Communications Cables Infrastructure initiative (Rogucci). Scopo dell’iniziativa era quello di creare una flotta da cinque miliardi di dollari di navi capaci di riparare questi cavi danneggiati, oltre a favorire azioni diplomatiche per trovare soluzioni di back up a eventuali interruzioni di trasmissioni dati determinati da guasti a strutture portanti di internet. Ciò in quanto tendiamo a dimenticare quanto la nostra realtà virtuale sia radicata nella nostra realtà fisica.
Dal 2008 sono successe molte cose, la più rilevante delle quali, per la regione che stiamo osservando, è stata l’aumento delle tensioni fra Cina e Usa, che hanno spinto gli americani a sanzionare o “bannare” alcune iniziative di posa di cavi in quella zona per la semplice ragione che coinvolgevano la Cina. Anche quando questi cavi venivano posati da compagnie americane.
E’ quanto accaduto, ad esempio al Pacific Light Cable Network (PLCN), col quale Google e Meta pensavano di collegare gli Stati Uniti, Hong Kong, Taiwan e le Filippine. Ma le due compagnie non avevano fatto i conti col governo americano al quale l’idea di una connessione diretta con Hong Kong e quindi la Cina garbava molto poco. Sicché il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha raccomandato alla Federal Communications Commission che il cavo fosse approvato per la connessione con gli Stati Uniti solo nell’ipotesi che collegasse col Nord America solo con Taiwan e le Filippine, tagliando fuori Hong Kong. Di conseguenza, il PLCN si è arenato.
Sia Trump che Biden hanno detto a chiare lettere alle compagnie americane di evitare collegamenti sottomarini con Hong Kong e, per converso, hanno impedito che i capitali cinesi portassero cavi sui loro territori, compreso Guam (foto in basso cerchiata), estrema propaggine statunitense in mezzo al Pacifico. Ciò per dire quanto la prendano seriamente.

Dal canto suo, la Cina la disegnato la sua Digital Silk Road ottenendo anche un certo successo. Al momento ci sono tre importanti progetti cinesi in costruzione nella regione Asia-Pacifico, che collegano Cina e Hong Kong con numerose nazioni del Sud-Est asiatico come Filippine, Vietnam, Cambogia, Malesia, Indonesia e Singapore. Secondo le stime della Fondazione, le compagnie cinesi, guidate dalla HMN Technologies and FiberHome, si prevede contribuiranno al 45% dei 770.000 km di cavi sottomarini installati fra il 2023 e il 2028.
Rimane il fatto che le tensioni sino-americane, qui come altrove, rischiano di generare grossi disturbi a un’industria di per sé fiorente. Si stima che almeno 50.000 km di cavi per i quali era prevista la posa siano stati sospesi o siano in ritardo. In parte anche per le pretese cinesi sul Mare Cinese Meridionale.
Il risultato di queste tensioni è che si corre un rischio concreto che Cina e Usa si facciano ognuno i propri cavi senza nessuna sia collegata all’altra. Una sorta di guerra fredda sottomarina. La cortina di ferro dei dati. La storia ci insegna che queste cortine finiscono sempre male. E il Sud Est asiatico sarebbe il primo a farne le spese.
Il Sud-Est asiatico può diventare la linea di faglia dell’economia digitale

Gli apostoli della società (e dell’economia) digitale, quelli che ci almanaccano continuamente su un futuro sempre più immateriale, dovrebbero leggere un bel paper diffuso dalla Hinrich Foundation che si ricorda una verità tanto banale quanto avvilente per gli spiritualisti contemporanei: il mondo di Internet ha radici che affondano robustamente nella realtà fisica.
“La moderna Internet – ci ricorda il paper – è spesso immaginata come un mezzo disincarnato. Il “cloud” è, in realtà, creato da pile su pile di server in magazzini caldi e bui. Mentre in passato era stato facile trascurare il ruolo dei data center, delle linee elettriche e dei cavi sottomarini nel consentire l’economia moderna, l’avvento dell’intelligenza artificiale, la crescita esponenziale nella creazione di dati e il crescente valore strategico dei dati significano che non è più sostenibile ignorare la fisicità del mondo virtuale”.
Benvenuti nella realtà, dunque, dove sabotare un cavo sottomarino, come è avvenuto di recente nel Baltico, mette a repentaglio i nostri preziosissimi dati. E dove servirà sempre più energia, molto fisicamente prodotta, per alimentare questi server affamati. Tanto più domani quando l’ennesima mitologia imperante, quella dell’intelligenza artificiale, chiederà il pagamento del suo prezzo. Che ovviamente, essendo artificiale, è squisitamente energetico.
Il grafico che apre questo post non ha bisogno di molti commenti. I data center, dove abitano anche i carissimi Bitcoin e i loro fratelli, sono sempre più smaniosi di conquistare spazi fisici e risorse energetiche. Quanto a queste ultime, i dati dell’IEA, relativi al 2022, osservano che data center, Criptovalute e intelligenza artificiale hanno assorbito l’1,5% del consumo globale di energia. Sembra poco, ma per il 2026 si prevede che questa quota raddoppierà.
Questo costringe le grandi compagnie tecnologiche a pianificare investimenti sempre più massicci per fare fronte a questi appetiti. Il paper calcola che Amazon prevedeva di investire 75 miliardi quest’anno, quando erano 48 miliardi nel 2023, in gran parte proprio per alimentare i suoi data center, mentre Microsoft e Google, i grandi creatori di cloud globali, non sono da meno.

D’altronde, come dar loro torto? Secondo i dati raccolti dal paper, dal 2010 a oggi il numero degli utenti Internet in tutto il mondo è più che raddoppiato e il traffico sulla rete è aumentato di 25 volte. Si stima che ogni giorno 125 mila nuovi utenti si aggiungano al coro degli internauti, il cui consumo di dati passerà dai 9,2 giga mensili del 2020 ai 28,9 dell’anno prossimo.
I data center globali dovrebbero arrivare a 5.700 quest’anno per toccare gli 8.400 entro il 2030. Un’industria che secondo alcuni osservatori arriverà a superare i 600 miliardi di dollari di valore nel 2029. I consumi elettrici di queste idrovore energetiche sono visti in crescita costante. Il gestore elettrico cinese, ad esempio, prevede che la domanda di energia dei propri data center raddoppierà entro il 2030 rispetto al 2020.
Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, questa fame energetica è destinata a crescere. Il paper calcola che al momento una qualunque ricerca su Google richieda 0,3 Watt per ora di consumo (Wh). Una richiesta a ChatGpt ne richiede 2,9. Pensateci quando chiedete al vostro computer un consiglio sui regali di natale.
In questa moderna corso all’oro digitale, la geografia e la politica minacciano sempre più di far valere le proprie istanze. La fame di dati, infatti, trova nella zona asiatica, dove abitano miliardi di persone, il suo bengodi. Solo che, in quella regione, esistono diverse complessità che nemmeno i superportafogli delle Big Tech riescono ad appianare.
Posare cavi sottomarini nella zona del Sud Est asiatico, dove sta sorgendo il paradiso dei Data center, si sta rivelando sempre più difficile visto lo stato di latente conflittualità che da anni si consuma sul Mar cinese meridionale. E lasciamo da parte il discorso su Taiwan.
Si stima che sotto gli oceani ci siano 1,4 milioni di cavi sottomarini, sui quali viaggia il 99% del traffico internet globale con transazioni finanziaria quotidiane che superano i 10 trilioni di dollari. Proprio nella regione del Sud Est Asiatico si prevede la maggiore concentrazione, fra il 2024 e il 2026, di investimenti per la posa di cavi.
Come se non bastasse, la grande fame energetica sta spingendo i giganti del web a ricorrere a strategie non convenzionali di approvvigionamento, come l’energia nucleare, che aggiungono un’altra variabile difficilmente prevedibile all’equazione: il rischio ambientale in sostanza si amplifica. L’IEA stima che questa regione avrà bisogno di centinaia di miliardi di investimenti, circa 426 miliardi, per incontrare la proprio futura domanda energetica.
Dulcis in fundo, c’è la questione degli spazi fisici e del consumo di acqua, visto che i server devono essere continuamente raffreddati. I data center consumano enormi quantità di suolo. E se questo può addolcire il sonno dei proprietari di immobili commerciali, alle prese con un mercato a dir poco complicato, al tempo stesso rischia di trasformare le città in deserti popolati da server. “I più grandi data center possono coprire milioni di piedi quadrati”, sottolinea il paper. Quanto all’acqua, si parla di consumi per milioni di galloni ogni anno. Tutti problemi che in un territorio come quelli del Sud Est asiatico, fortemente abitati, possono generare diverse complessità sociali.
Singapore ad esempio, uno dei più grandi luoghi di concentrazione dei data center in Asia, con 70 di queste strutture già operanti nel 2019, ha deciso una moratoria proprio per limitare l’impatto ambientale durata fino al 2022 e di recente ha varato una roadmap per consentire la creazione di datacenter green basati sulle energie rinnovabili.
E tuttavia, se non si riesce ad assicurare un accesso uniforme e costante alla rete, il bel sogno del mondo connesso ad alta velocità, con tutte le varie implicazioni che stiamo iniziando faticosamente a comprendere, rischia di mostrarsi per quello che è: un grosso problema da gestire. Ma non ditelo a ChatGpt.
