Etichettato: distruzione domanda usa
Svb, ossia la distruzione creativa dell’inflazione

La realtà si incarica sempre di ricordarci che certe nostre pretese di controllare gli eventi sono destinate a scontrarsi con tutto ciò che non siamo in grado di controllare affatto. In sostanza, la maggioranza delle cose.
Sempre la realtà, si incarica di ricordarci che per quanto noi affiniamo i nostri ragionamenti causalistici, i fatti procedono seguendo vie misteriose che a fatica riusciamo a comprendere, e figuriamoci a determinare.
Sempre la realtà, infine, ci ricorda ciò che Keynes scrisse decenni fa e che abbiamo dimenticato: ci confrontiamo continuamente con l’ignoranza e col tempo futuro, che in pratica sono la stessa cosa. Quindi un po’ d’umiltà non guasterebbe. E invece fissiamo continuamente scadenze che non riusciamo a rispettare, o facciamo previsioni regolarmente smentite. Oppure, infine, rimaniamo a bocca aperta quando nascono le tempeste. Di fronte all’economia siamo come di fronte al meteo: capaci di fare straordinarie previsioni e insieme impotenti. Non possiamo impedire che piova. Al limite possiamo imparare a ripararci.
Tutto ciò dovrebbe incoraggiarci a guardare da un diverso punto di vista l’ennesima bufera made in Usa che già riecheggia argomenti che, ciclicamente – l’ultima volta nel 2008, ma anche dopo – appaiono nel nostro discorso pubblico. Le banche in difficoltà: ancora? Che noia, signora mia.
Vi/ci risparmieremo l’analisi dell’ovvio. Ossia che una banca, casualmente (?) Usa ha scatenato l’ennesima turbolenza finanziaria per ragioni che sono sempre le solite: una corsa agli sportelli, sventata con una frettolosa risoluzione governativa, perché la liquidità della banca, in difetto, stava erodendo la sua base patrimoniale.
Ovviamente il grande indiziato è stato il rincaro del costo del denaro. Ma qui si ricade nell’ovvietà, e non vale il tempo che richiede tornarci sopra. Forse è più interessante domandarsi, e quindi osservare, se l’instabilità finanziaria generata dalla Silicon Valley Bank (SVB) non finirà per fare il lavoro sporco che le banche centrali non sanno/vogliono/possono fare: distruggere quella esuberante domanda statunitense (vedi grafico sopra) che ha fatto esplodere in quel paese l’inflazione core. E se magari la “cura” americana non finirà per giovare anche a noi. Anche perché non si capisce bene, sennò, come dovremmo uscirne.
Le banche centrali, infatti, si trovano adesso di fronte a un dilemma sempre più acuto. Nel passato, almeno dalla crisi di Internet del 2000, ma anche prima, hanno curato l’instabilità finanziaria allargando la liquidità e restringendo la regolazione. Finché anche le regolazione è stata in qualche modo ammorbidita e la liquidità è diventata fluviale. La crisi Covid ha aggiunto la ciliegina della politica fiscale fluviale alla torta preparata negli anni dalla banche centrali.
Poi è arrivata l’inflazione. Le banche centrali hanno fatto retromarcia: implacabilmente. L’inflazione ha finto di scendere, ma sta lì, assai salda, alla faccia delle previsioni che spingono sempre un po’ più in là il tempo della normalizzazione. Le banche centrali hanno minacciato nuovi aumenti. E manco a farlo apposta – magari fosse così – è entrata in giovo la SVB.
Bum.
La distruzione di domanda che deriverà da questo pasticcio potrebbe essere assai più efficace, nella lotta all’inflazione, della logorroica forward guidance delle banche centrali, ormai in chiara confusione. Che queste distruzione possa essere creatrice di nuova domanda, magari stavolta sostenuta da tassi di interesse tornati a un livello “naturale”, diciamo così, è tutto da vedersi.
Ma intanto godiamoci l’evergreen dell’ennesima crisi finanziaria. I giornali fanno titoli facili, i politici promettono salvataggi che non si possono più permettere. E il copione si ripete. Pagheremo caro e pagheremo tutto. Ma alla fine questo raffredderà l’inflazione assai più di quanto avrebbero fatto i discorsi di un qualunque governatore di banca centrale. Il fatto che si pensi, lo rende giù una possibilità, direbbe G.L. S. Shackle, un vecchio economista ormai dimenticato. Ma non da tutti.