Etichettato: growth illusion

La fine della “grande illusione” della crescita

Capita di leggere ogni tanto analisi che provano ad alzare la testa dalla cronaca, guardando indietro per provare a immaginare cosa ci attenda avanti. Di solito questo è il lavoro degli storici, come ho tentato di fare nella mia Storia della ricchezza, edita da Diarkos, ma a volte anche se ne trova traccia nei lavori delle banche centrali.

Nel caso in ispecie, la riflessione che propongo oggi l’ho trovata sfogliando la relazione annuale della Bis di Basilea, e vale la pena sottoporvela perché usa un’espressione poco usuale – “growth illusion” – per connotare una processo storico-economico che fa data dagli anni Sessanta del XX secolo e arriva ai nostri giorni.

Parlare di illusione della crescita, quando effettivamente la ricchezza è aumentata visibilmente in tutto il mondo, pure se con le notorie distorsioni, può sembrare fuorviante. Ma il ragionamento degli economisti della Banca rimane molto interessante. Il “lungo viaggio” intrapreso dalle economie dei paesi avanzati si è connotato per “un’azione politica eccessivamente espansiva che si è evoluta con il panorama economico che quelle politiche stavano contribuendo a modellare, insieme a forze strutturali più fondamentali”.

Quindi i poteri pubblici, a partire dai Sessanta, hanno co-determinato lo sviluppo economico. Che può sembrare un’ovvietà ma non lo è. E’ il cuore di quella che nella Storia della ricchezza ho chiamato terza rivoluzione borghese. Quindi per noi oggi è un’ovvietà, ma non lo era a quel tempo che aveva tradizioni, pensieri e abitudini culturali molto diversi.

Questo “lungo viaggio” viene diviso idealmente in due tappe, quella che dai primi anni Sessanta arriva ai primi Ottanta, e poi quella che conduce fino a oggi. La grande espansione degli Ottanta, che ancora oggi caratterizza molte delle nostre politiche economiche, è iniziata dopo la sconfitta dell’inflazione ultradecennale che nei Settanta aveva dato il peggio di sé. Ed è questa seconda parte del “lungo viaggio” che adesso è entrata in crisi.

Siamo di nuovo di fronte all’inflazione, quindi ha senso domandarsi se si sia concluso un ciclo e se ne stia aprendo un altro, o se, semplicemente, gli esiti quotidiani sono la conseguenza, come sembra ipotizzi la Bis dell’aver condotto all’estremo la politiche che hanno costruito “l’illusione della crescita” delle nostre società.

Non è una domanda da poco. Il passaggio fra i Sessanta e gli Ottanta ha caratterizzato quello fra un sistema economico “government-led” verso un sistema “market-led”, sia a livello domestico che internazionale, con i Novanta a preparare, dopo la fine dell’Unione Sovietica, la grande globalizzazione di inizio XXI secolo.

La domanda perciò, oggi, è se stiamo assistendo a un ripensamento profondo – una sorta di retroazione del pendolo verso un sistema di nuovo government-led – oppure se stiamo transitando verso qualcos’altro, di cui ignoriamo ancora i contorni.

L’analisi della Bis, quanto a questo, si limita ad osservare che l’erosione degli spazi fiscali dei governi e monetari della banche, generati da un ventennio di politiche espansive finalizzate al contenimento di svariate crisi, è all’origine di questo movimento verso l’ignoto. Il ritorno dell’inflazione, che prima della pandemia la globalizzazione aveva contribuito a tenere sotto controllo, ha fatto il resto.

Così siamo arrivati ad oggi. Abbiamo debiti elevati, ai quali, va ricordato corrispondono crediti altrettanto corposi, inflazione, fragilità finanziarie e una certa avversità dell’opinione pubblica verso la globalizzazione.

L’illusione della crescita, se con ciò si intende l’idea che bastasse usare il bilancio pubblico per generare prosperità, potrebbe davvero aver raggiunto il suo punto di rottura. E paradossalmente la risposta che potrebbe arrivare da società abituate da sei decenni a politiche pubbliche espansive è di averne ancora di più, quando evidentemente non possiamo più permettercele. Peggio ancora, queste politiche si dimostrano sempre meno efficaci.

Questo è il problema. Chiedere ai poteri pubblici l’impossibile, rischia di condurci verso una crisi sempre più probabile. Che non si misura, però, in termini di pil. Per questo il nostro blog in epigrafe ricorda che il debito è un affare troppo serio perché se ne occupino gli economisti.

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