Etichettato: prima banca centrale del mondo

La leggenda del Re Debitore

C’era una volta, in un paese lontano, un Re che doveva muover guerra a nemici ricchi e potenti che insidiavano il suo dominio sui mari del mondo.

Il Re chiamò il suo ministro e gli chiese se fra gli anfratti del castello fosse rimasto qualcosa del tesoro di guerra che sempre i regnanti stipavano per far fronte a improvvisi torbidi internazionali. Ma il ministro nicchiò: “Le casse sono vuote, vostra Maestà, tutto è stato speso per altre importanti campagne”.

Il Re si turbò non poco. Vide la sua grandezza futura sfumare d’improvviso per una misera questione di denaro.

Il vile metallo.

Le migliori menti del regno si misero all’opera. Studiarono metodi e sistemi, matematiche e filosofie. Finché un giorno qualcuno gridò eureka: “Maestà, disse una voce, ho la soluzione”.

“E sarebbe?” chiese il Re.

“Vostra Maestà deve chiedere un prestito. Deve indebitarsi”.

Il Re s’infuriò: “E qual è la novità, i Re si sono sempre indebitati. E poi noi neanche possiamo: dobbiamo chiedere l’autorizzazione al Parlamento e figuriamoci se..”.

“Vero”, rispose la voce, “ma stavolta…”

Stavolta il prestito non l’avrebbe chiesto il Re, ma una banca. Una banca nuova nuova, fresca di costituzione. La Banca avrebbe raccolto il capitale, addirittura 1.200.000 monete dai privati cittadini. Una volta sottoscritto e raccolto il capitale, la Banca lo avrebbe prestato a Sua Maestà all’8% di interesse. Sarebbe stata non una banca pubblica, ma una banca d’interesse pubblico, “Una finezza, Vostra Maestà”.

Il sovrano non comprese: non era versato nella materia dei mercanti di capitali, ma ad essi si affidò anima e cuore. L’urgenza della guerra giustificava il sodalizio. Anche perché, si disse, era un matrimonio a tempo: appena dodici anni, trascorsi i quali il debito sarebbe stato ripagato dal Sovrano alla Banca, che avrebbe restituito ai sottoscrittori quanto da loro versato e l’operazione si sarebbe conclusa.

I privati cittadini aderirono con entusiasmo. Il guadagno era certo e pure succulento, e la garanzia sicura. Anzi sicurissima: addirittura una Banca sposata col Sovrano.

Poi però una sera, ritornando a casa, uno cittadino, che aveva appena versato la sua quota di 10.000 monete, si accorse di avere la scarsella desolantemente vuota. Avrebbe dovuto pagare i suoi manovali, comprare le scorte per il suo commercio, riempire la sua dispensa. Si accorse, poveretto, che non aveva più abbastanza denaro per fare ciò che doveva, una volto prestato il valsente alla Banca.

Che fare?

Tale dilemma afflisse molti, anche perché allora, a differenza dei giorni nostri, le monete erano scarse e limitate.

I cittadini allora tornarono alla Banca e dissero: “Cara Banca, ti abbiamo presto i nostri soldi e buon pro’ ti facciano, ma adesso noi come facciamo a far girare i nostri commerci? Ci vengono a mancare ben 1.200.000 monete, senza le quali assai meno di prima potremo prosperare”.

La Banca li rassicurò. “Invece del vostro denaro, che rivedrete alla fine del prestito, io vi fornirò delle Note di Banca che testimoniano del debito che io Banca ho verso di voi. Tali biglietti potrete utilizzare per i vostri commerci, forti della garanzia della Banca sposata col Sovrano. E state pur certi che, una volta chiuso il prestito e le monete restituite, tali biglietti potranno essere distrutti”.

La Nota di Banca era un bel documento scritto con grafia araldica. C’era scritto che la Banca garantiva il pagamento della somma iscritta sopra e la firma del capo della Banca, persona degnissima e illustrissima di cui nessuno avrebbe mai dubitato. Quel debito, della Nota di Banca, sarebbe sicuramente stato ripagato.

Il tempo trascorse, ma solo pochi si accorsero che intanto era accaduto un miracolo. Il debito del Sovrano era diventato strumento di pagamento a disposizione del popolo.

Il debito pubblico una ricchezza privata.

Sorsero mercanti e cambiavalute che commerciavano le Note di Banco, che ormai tutti chiamavano Banconote. Nacquero i mercati di capitale. Le Borse.

Più felice di tutti era la Banca sposa del Sovrano, che emetteva Banconote, ossia suoi debiti, senza neanche dover pagare interessi su tali debiti che circolavano freneticamente, ma anzi guadagnando ogni volta che qualcuno gliene chiedeva, magari per fruire di un’anticipazione.

La Banca era divenuta una cornucopia. La personificazione giuridica di Re Mida. L’unico limite era il cielo.

Trascorsero i dodici anni previsti. Il Sovrano distratto da altre guerre che andava a combattere, e dalle promesse di un impero che andava a costituirsi, si dimenticò della scandenza del prestito, come accade a tutti i Sovrani che dimenticano i debiti, e la Banca non glielo ricordò, per una questione di riguardo. Neanche glielo ricordarono i sottoscrittori, che si erano visti restituire, oltre agli interessi, quote sembre crescenti di banconote, visto che la Banca non smetteva di produrne, che li avevano arricchiti oltremodo, visto che bastava passare in Banca, lasciare un credito, anche incerto, per avere in cambio fruscianti banconote al prezzo di un piccolo sconto.

Trascorsero i dodici anni, e nessuno fiatò. Che motivo c’era? Il Sovrano finalmente avrebbe potuto finanziare tutte le sue guerre senza bisogno di avere un tesoro. La Banca continuava a guadagnare scrivendo Banconote. I cittadini non vedevano più limiti alla crescita impetuosa di una risorsa che era sempre stata scarsa: la liquidità.

Da allora non sarebbe più mancata. Avrebbe garantito ricchezza e benessere a tutti, solo che si fosse lasciato sviluppare senza lacci e lacciuoli il meraviglioso mondo della finanza. E a patto che a nessuno,mai e poi mai, fosse venuto in mente di saldare i debiti. La congiura del silenziò segno il futuro di questo paese lontano.

E tutti vissero felici e contenti.

Come ogni leggenda, quella del Re Debitore nasce da una storia vera. La nostra risale al 1694, quando nel Regno Unito fu fondata la Banca d’Inghilterra, la prima Banca centrale del mondo. Raccolse 1.200.000 steriline in oro, all’8% per dodici anni che prestò al Sovrano che doveva muovere guerra alla Spagna e stampò una somma equivalente di banconote per il mercato interno.

Il resto lo sapete già