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Un’altra sfida in arrivo per gli esportatori italiani

Il passato recente, ci dice Bankitalia nella sua ultima relazione annuale, ha premiato il settore esportatore italiano. Negli ultimi cinque anni (2019-24), malgrado le diverse e gravi complicazioni che hanno afflitto l’economia internazionale, le imprese in Italia sono riuscite a far crescere l’export in volume del 7,3%. In gran parte questa crescita ha avuto come destinazione i paesi dell’area euro, che si conferma il primo mercato di sbocco dell’industria italiana, ma anche le vendite extra-Ue sono migliorate, tranne che verso il Regno Unito, dove ancor si paga il costo della Brexit, la Russia, sotto sanzioni, e la Svizzera.
Il grosso del contributo alla crescita è arrivato dall’agroalimentare, dagli “altri manufatti”, in gran parte gioielli, dall’elettronica e dalla farmaceutica. Calano invece le esportazioni di metallurgia, che ha pagato il prezzo dei pesanti rincari energetici seguiti alla guerra, e moda.
Un altro dato molto rilevante, che lascia ben sperare per il futuro, è che nello stesso periodo le esportazioni dei servizi sono cresciute a un tasso doppio di quello dei beni (il 15,8%), trainati dai servizi forniti digitalmente alle imprese (professionali, finanziari e di ricerca e sviluppo), con il turismo a contribuire per quasi il 2%.
Come dato generale, è utile ricordare che il buon andamento dell’export si è associato a un aumento della quota di beni esportati da aziende con più di 250 addetti. Inoltre, l’export originato da imprese che fanno parte di multinazionali, italiane o estere, ha raggiunto la quota del 57% nel settore dei beni e dell’84% in quello dei servizi. La dimensione, insomma, conta. E la proiezione internazionale altrettanto.
Prima di proseguire nell’analisi, vale la pena proporre un piccolo pro-memoria per sottolineare l’importanza che l’export ha nel nostro paese.

I dati del saldo corrente mostrano con chiarezza che ormai i nostri attivi dipendono esclusivamente dal conto delle merci, che quindi è necessario mantenere per conservare l’equilibrio dei nostri conti esteri. Finora ci siamo riusciti, anche se con qualche difficoltà e al prezzo di cambiamenti sostanziali dei nostri sistemi produttivi. Ma il futuro è denso di incognite. Non ci sono solo i dazi americani che preoccupano gli osservatori, ma anche la crescente insidiosità della concorrenza, specie quella cinese, che sta aumentando il suo potere i penetrazione anche nei settori a maggiore qualità.

Il rischio dazi che arriva dagli Usa riguarda il 10,4% delle esportazioni di beni che vengono indirizzate in quel paese, ma è chiaro che in un contesto di catene di fornitura integrate e complesse quantificare con precisione le conseguenze di questo aggravio tariffario è molto difficile. Quanto alla concorrenza, stiamo già subendo una erosione di quote nei settori dove la Cina si è sta mostrando molto capace di penetrare, come gli autoveicoli, i metalli e la plastica.
Tutto sembra congiurare, insomma, perché il settore esportatore si trovi di fronte a un’altra sfida esistenziale, come quella vissuta dopo la crisi del 2008 e poi quella dei debiti sovrani. E forse una direzione le imprese potranno trovarla osservando i grandi cambiamenti che si preannunciano davanti a noi. “La convergenza dei redditi delle economie emergenti verso quelli delle economie avanzate, la ricomposizione della domanda verso i servizi in seguito all’aumento del reddito mondiale e al progressivo invecchiamento della popolazione, nonché il maggiore peso della digitalizzazione nei processi produttivi si rifletteranno in una crescita pronunciata dei servizi, in particolare quelli alle imprese,
e dei beni rivolti a consumatori a più alto reddito o di età più avanzata”, scrive Bankitalia, e il messaggio non potrebbe essere più chiaro.
Rimane da capire se abbiamo delle prospettive concrete di miglioramento nel settore dei servizi, che come si osserva dal nostro conto corrente è ancora deficitario, malgrado sia cresciuto il doppio rispetto a quello dei beni. Una situazione di luci e ombre. Da un lato abbiamo una elevata qualità delle esportazioni di merci, ma sul fronte dei servizi più remunerativi, come quelli digitali, siamo ancora a livelli molto bassi rispetto ai nostri concorrenti nonostante il dinamismo mostrato negli ultimi anni. Se fosse facile, d’altronde, non sarebbe una sfida. Rimane da capire se saremo in grado di coglierla e, soprattutto, di vincerla.
Servizi e redditi sostengono i conti esteri italiani

Come che era facile prevedere a chiunque osservi sena pregiudizi i fatti dell’economia, il settore esportatore italiano di beni sta iniziando a mostrare segnali di sofferenza, che Bankitalia mostra nel suo ultimo bollettino economico. D’altronde sarebbe strano il contrario, visto i profondi collegamenti che il nostro paese ha con il resto del mondo e in particolare con la Germania, con la quale condivide molte catene di produzioni, la quale è alle prese con un cambio di paradigma produttivo dagli esiti molto incerti, e quindi con un’attualità assai sfidante.
Rimane il fatto: dobbiamo sperare che le altre componenti, come è successo nel secondo trimestre di quest’anno, compensino il declino del saldo commerciale dei beni. Pere o mele: ciò che conta è che il peso del saldo corrente rimanga stabile, o meglio ancora, cresca.
In effetti il saldo corrente è migliorato, ma il merito è dei servizi, che si confermano una novità positiva nella nostra contabilità nazionale recente, anche se assai meno di quanto sarebbe necessario, e del miglioramento dei redditi primari, peggiorati per ragioni che abbiamo già discusso altrove, ma che di recente sono andati meglio del solito.
Quanto all’export di beni, che fa da sempre la parte del leone nei nostri conti esteri, “dopo avere ristagnato all’inizio del 2024, nel secondo trimestre le esportazioni in volume sono scese dell’1,2 per cento”, scrive Bankitalia. Le vendite sono diminuite sia nei mercati fuori dall’UE, soprattutto negli Usa, sia nei mercati intra Ue, soprattutto nei settori della meccanica e degli autoveicoli.
Anche le importazioni di beni dall’estero hanno ristagnato: ci sono stati meno acquisti dai mercati interni, soprattutto dalla Germania – ed ecco le nostre catene di produzione – mentre sono aumentati gli acquisti dall’Asia. In calo acquisti di prodotti energetici e, ancora una volta, autoveicoli.
A fronte di questi andamenti commerciali, l’avanzo corrente si è comunque ampliato, arrivando al 2% del pil, grazie appunto al miglioramento dei redditi primari e dei servizi, cui certamente ha contribuito il settore turistico.
L’importanza di questo saldo non va sottovalutata. Sempre Bankitalia nota infatti che “gli investitori esteri continuano ad acquistare titoli pubblici italiani”. Parliamo di 29,3 miliardi, interamente concentrati in titoli a lungo termine e corrispondenti a circa la metà delle emissioni nette da parte del Tesoro nel trimestre considerato.
Evidentemente aiuta essere creditori netti. E questo non dovremmo mai dimenticarlo, visto che siamo in un contesto di forti emissioni di debito pubblico non più stabilizzate dagli interventi sul mercato secondario delle banche centrali. Il credito, insomma, bisognerà sempre più meritarselo. Non a caso si parla di merito di credito.
Cartolina. And winter came

E’ arrivato l’inverno tanto temuto e preannunciato dal nostro incurabile scontento. Non tanto perché oggi cade il solstizio, che è solo una pregevole coincidenza astronomica, ma perché la nostra contabilità pubblica segna una triste inversione del nostro saldo corrente, che in questi anni di scontento almeno rallegrava i più attenti, che sanno bene quanto sia importante essere creditori dell’estero, quando il tempo si fa brutto. E oggi, che l’inverno è arrivato sul serio, forse inizieranno a capirlo anche quelli che si lamentano di mestiere, convinti che aiuti a star meglio. Rimane poco da fare, quando il conto del nostro export di merci sprofonda così inesorabilmente, e per giunta con la prospettiva che, in barba a qualunque tetto su costi delle importazioni energetiche, sia destinato a peggiorare. Ci aspettano freddo e letargo. D’altronde è arrivato l’inverno.
