Equilibrio vuol dire fiducia (lo dice anche la Bce)
L’economia di oggi è una (pseudo) scienza rozza, che dissimula con l’astrusità delle formalizzazioni la sua debolezza epistemologica e la grossolanità dei suoi presupposti.
Vi sembrerà un paradosso, ma l’economia era più vicina alla realtà all’epoca d’oro della filosofia morale, quella di Adam Smith per intendersi, se per realtà si intende il modo in cui vanno le cose e non il paradiso artificiale che descrive come dovrebbero andare. Il mondo dei modelli formali che ti fanno scervellare, salvo poi scoprire che hanno la capacità prospettica di un neonato.
Ma non è tanto questo il problema. L’economia, scegliendo la matematica ha scelto implicitamente di studiare solo ciò che si può misurare, ossia ciò che è quantitativo. Così facendo ha tagliato fuori dal suo campo d’indagine l’altra metà del cielo, ossia ciò che è qualitativo, effimero.
Ha reciso le sue radici.
Prendiamo la fiducia, ad esempio. Sappiamo tutti che senza fiducia l’economia semplicemente non esisterebbe (per non parlare del credito). Eppure l’economia non se ne occupa. La lascia sullo sfondo. Si limita a postularla, come qualcosa di evidente di per sé. Perché la fiducia sappiamo tutti cos’è.
E sappiamo altresì che fatica ad entrare in un sistema di equazioni.
Ciò non impedisce che qualcuno ci provi.
Alcuni economisti, che evidentemente sentono il richiamo della foresta della filosofia, hanno prodotto (pochi) studi interessanti sul rapporto fra la cultura di un paese, in particolare la sua religione (pensate a Max Weber) e il suo sviluppo economico, arrivando all’incredibile risultato che effettivamente c’è un nesso.
Chi l’avrebbe mai detto? Chissà quanta matematica è servita per arrivarci.
La cosa si fa più interessante quando il richiamo della foresta si fa ancora più forte e si cerca di mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, ossia i numeri e i sentimenti, ipotizzando ad esempio che si sia un correlazione fra il grado di fiducia e il livello di squilibrio di cui soffre una paese. Nel senso che sono inversamente proporzionali.
Un punto di vista nuovo: di solito gli economisti si occupano della correlazione fra fiducia e sviluppo economico, che è anche più immediata e altrettanto sfuggente per carenza di informazioni statistiche sui sentimenti.
Questa novità, ossia la ricerca di una correlazione fra fiducia e squilibrio, è finita in un paper della Bce pubblicato alcune settimane fa: “Macroeconomic imbalances: a question of trust?” che è davvero istruttivo leggere. Se non altro per avere un’idea di come lavorano gli economisti.
Che poi sono gli stessi che dicono di conoscere la ricetta del nostro benessere.
Cominciamo dalle definizioni. Ognuno di noi pensa probabilmente una cosa diversa quando si parla di squilibrio. Gli autori lo intendono come un indice (ecco la matematica) che assembla il saldo fiscale, il saldo del conto corrente e il tasso d’interesse. Ogni altra cosa non viene considerata. Tipo, per dirne una a caso, il livello di debito delle famiglie.
Il terreno si fa più scivoloso quando entra in gioco la fiducia, categorizzata come “fiducia interpesonale” che viene considerata il driver del capitale civico di un paese.
Tale “fiducia” viene misurata attingendo a una serie di dati estratti dal World Values survey e dall’European values study nelle tre decadi 1980, 1990 e 2000 e poi a questi dati vengono associate sei modalità nelle quali, secondo gli autori, si declina la fiducia: onestà, obbedienza, fede nell’autodeterminazione, affinità per la concorrenza, lavoro etico, importanza riconosciuta alla parsimonia.
Questa è la fiducia di cui stiamo parlando, non quella che pensate voi, che magari al concetto di fiducia interpersonale associate altre caratteristiche tipo la generosità, l’altruismo, la disponibilità, eccetera.
Da tali presupposti si sviluppa l’analisi che, nella sua parte finale, è ovviamente dedicata all’eurozona.
La domanda che gli studiosi si pongono è la seguente: l’introduzione dell’euro ha attenuato o amplificato gli effetti della cultura dei singoli paesi sui loro squilibri economici?
Detto in altre parole: si è verificata almeno la convergenza sui valori “effimeri” visto che sui valori economici c’è ancora parecchio da lavorare?
Insomma: l’euro è servito a “educare” in qualche modo ai valori giusti (quelli di prima, non altri) i paesi (macroeconomicamente) squilibrati?
La congettura che gli autori si prefiggono di dimostrare col solito modellino matematico è che “le società siano più capaci di affrontare gli squilibri macro (come prima definiti, ndr) quando nel paese prevalgono alti livelli di fiducia interpersonale (come prima definita, ndr), la qualcosa accade quando il capitale civico è più sviluppato”.
Per fortuna gli autori si rendono conto della complessità del reale e perciò fanno quello che di solito fanno gli economisti quando devono dimostrare qualcosa: semplificano all’osso. E poi travestono con i numeri le proprie semplificazioni. Il che dà loro quell’aura preziosa di scientificità che rende tali congetture miracolosamente credibili.
Alla fine delle formule, le conclusioni confermano l’ipotesi: “Abbiamo trovato – scrivono – una forte prova del link fra la fiducia interpersonale e gli squilibri economici”. “Abbiamo riscontrato delle differenze nella fiducia fra i paesi dell’eurozona a bassi tassi e ad alti tassi, che però non sono statisticamente significanti e non abbiamo trovato prove che l’euro abbia avuto un impatto sul link fra fiducia e squilibri”.
Neanche a questo è servito.
Tuttavia, focalizzando l’attenzione sull’eurozona gli studiosi sono arrivati a calcolare che controllando le differenze fra i gradi di fiducia interpersonale si potrebbe rimuovere circa un quinto delle differenze fra gli squilibri dei paesi a bassi e alti tassi.
Insomma: se avessimo lo stesso livello di fiducia della Germania all’interno del nostro paese, i nostri squilibri macroeconomici diminuirebbero di un quinto.
Sai che svolta.
Ciò basta per dedurne che fiducia vuol dire equilibrio.
Avere i valori morali giusti aiuta ad avere migliori valori economici. Ci sono arrivati, grazie alla matematica, gli economisti della Bce.
A me l’aveva detto mio padre.
…………..CENTRO!!!……………….Ottimo articolo…………………………
………………SEI UN GRANDE!!!!!!………………………………
Una cosa non capiamo (tra le tante da capire): come è possibile che tra tutti i tuoi seguaci blogghisti nessuno manda segnali di consenso, approvazione e condivisione in merito a questa tematica?
Vuoi dire che ti abbiamo capito male, abbiamo frainteso?:…dove c’è ONESTà secondo noi può nascere tanta FIDUCIA…Questa è una nostra piccola morale. Se abbiamo frainteso dacci un segno…
Buone cose,
Legsol
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salve,
non so che dirvi, a parte che non ho seguaci, solo lettori gentilmente interessati ai miei piccoli post.
A loro, e a voi, spero di essere d’una qualche utilità.
saluti e grazie per l’attenzione
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