Miti del nostro tempo: Il moltiplicatore degli investimenti

L’esplorazione delle mitologie economiche che finiscono con l’alimentare quelle politiche che ormai conduciamo da qualche tempo, non poteva trascurarne una fra le più persistenti: quella del moltiplicatore degli investimenti. A cominciare da quelli pubblici, ovviamente, per la semplice ragione che costoro sono la banderina preferita dei politici in campagna elettorale e il modo più presentabile che hanno trovato per impegnare risorse fiscali, e quindi consenso. Chiunque frequenti le cronache politiche di questi anni, sarà cresciuto sentendo risuonare nelle orecchie frasi come questa: “Bisogna aumentare gli investimenti pubblici ad alto moltiplicatore per garantire più crescita e occupazione”.

Più che lecito perciò, domandarsi quanto pesi davvero questo moltiplicatore. Quantificare, però, è esercizio difficile e spesso frustrante. Comprensibile che i politici se ne esimano, come d’altronde hanno fatto anche molti economisti del passato, divenuti famosi declamando le virtù della spesa pubblica senza mai sottolinearne i vizi. Ma per fortuna ci sono anche gli economisti pignoli come quelli di Bankitalia che proprio in chiusura dell’ultima relazione annuale hanno dedicato un breve approfondimento al tema che ci consente finalmente di capire di cosa stiamo parlando. O almeno in parte.

Senza bisogno di farla troppo lunga, diamo un’occhiata alle premesse a quindi vediamo i risultati. La premessa “filosofica” è nota sin dai tempi di Keynes. “Se un aumento degli investimenti pubblici migliora il contesto esterno in cui operano le imprese, si determina un incremento  della produttività del lavoro e della redditività del capitale privato che ne sospinge l’accumulazione, favorendo così l’aumento del Pil nel medio e lungo periodo”. Quindi se – e notate se – l’investimento pubblico migliora il contesto, eccetera eccetera. Bankitalia sottolinea inoltre che pure la politica monetaria ha il suo impatto, a seconda se sia accomodante o restrittiva. E pure questo ormai fa parte del senso comune.

Quanto agli effetti, “la stima dell’impatto macroeconomico della maggiore spesa per investimenti è generalmente riassunta dal valore del moltiplicatore, ossia della variazione percentuale del Pil generata da un incremento persistente (solitamente ipotizzato tra i cinque e i dieci anni) della spesa pubblica pari all’1 per cento del prodotto effettuato in disavanzo”. Quindi si parte da un’ipotesi secondo la quale per un decennio si investe in disavanzo l’1% del pil. La tavola sotto riepiloga i risultati.

Bene: “Il moltiplicatore degli investimenti pubblici è elevato (compreso tra 1 e 1,8 nel medio periodo) nel caso in cui le condizioni monetarie e finanziarie rimangano invariate e le risorse stanziate si traducano in maniera tempestiva ed efficiente in aumenti del capitale pubblico”. Quindi l’effetto miracoloso – 1,8 euro di prodotto per ogni euro investito – in una forbice piuttosto ampia e in un arco di tempo lungo, si verifica se nel frattempo la politica monetaria rimane distesa e il “sistema” digerisce con grande efficienza l’investimento. Circostanze alquanto ipotetiche. Bankitalia ne è talmente consapevole che sottolinea come “tali stime debbano essere interpretate come un limite superiore: in presenza di inefficienze nei processi di spesa le stesse analisi indicano valori inferiori del moltiplicatore, compresi tra 0,7 e 1,3”. Lascio alla vostra immaginazione ipotizzare quanto siano efficienti i processi di spesa in Italia.

Nella valutazione “realistica” che fa Bankitalia “il moltiplicatore di medio termine sarebbe compreso tra 1,1 e 1,5 nell’ipotesi di piena efficienza della spesa”. E anche qui, sulla piena efficienza della spesa meglio stendere un velo pietoso.

Notevole la conclusione: “un valore più elevato (1,8) potrebbe essere raggiunto se l’incremento della spesa fosse coordinato tra i paesi dell’area dell’euro, grazie all’aumento della domanda aggregata e a condizione del permanere dell’attuale orientamento accomodante della politica monetaria, legato alla bassa inflazione”.

Insomma: mutualizzare il debito, e grazie anche al contributo della Bce, favorirebbe la magica moltiplicazione. Il mito si internazionalizza. Ma rimane un mito.

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