Welfare all’italiana: la protezione sociale delle pensioni
Leggere l’ultimo rapporto Istat sulla protezione sociale è un ottimo viatico per acquisire un maggior grado di consapevolezza non solo sulla nostra storia recente, ma anche sul significato che il welfare ha finito con l’assumere nel nostro paese. Bastano due semplici dati per farsene subito un’idea: nel 2019 la protezione sociale ha assorbito il 59,1% della spesa pubblica corrente italiana, per un valore complessivo di 479 miliardi. La maggior parte di questa spesa, il 66,3%, riguarda la previdenza.
Per focalizzare l’importanza relativa di questa voce di costo sulla spesa complessiva per il welfare, può essere utile confrontarci con il resto dell’Ue28. Le prestazioni sociali vengono raggruppate in otto categorie, ognuna delle quali corrisponde a un rischio che si vuole proteggere: malattia/salute, invalidità, vecchiaia, superstiti, famiglia/figli, disoccupazione, alloggio e altra esclusione sociale.
Come si può arguire dal grafico, il rischio più protetto in assoluto è quello della vecchiaia, che assorbe, a livello Ue, il 40,5% delle prestazioni, con l’eccezione di Irlanda e Germania che destinano a questa voce un importo inferiore alla media. Prima del 2008 era ancora peggio. Prima che la crisi desse il via a un’ondata di riforme pensionistiche, il peso di questa voce era in media il 47,6%.
Il nostro paese, com’era prevedibile visto il livello della nostra spesa previdenziale, primeggia. Nel 2019 la voce “protezione della vecchiaia” quotava il 48,8% a fronte del 40,5 europeo. Siamo al quarto posto dopo Grecia (53,2%), Romania (51,8%) e Portogallo (50,7%). Fanalino di coda l’Irlanda, (31,8%), il Lussemburgo (32,0%) e la Germania (32,2%).
Il fatto che una grande economia come quella italiana si trovi in compagnia di economie assai più fragili nella classifica della protezione sociale per la vecchiaia dice molto del nostro carattere nazionale, oltre che della nostra struttura demografica. Ma soprattutto dice molto dei nostri vizi storici. Tanto più se si osserva che a fronte dell’aumento della spesa previdenziale, appena calmierata dalle varie riforme previdenziali ma da sempre al centro del dibattito pubblico – la vera ossessione degli italiani sono la casa e la pensione – è diminuita drasticamente, specie a partire dal 2008, la spesa sanitaria. Ossia ciò che dovrebbe garantire ai nostri anziani le cure di cui possono avere bisogno. E la pandemia sta qui a ricordarcelo. Questo malgrado la spesa per protezione sociale sia aumentata notevolmente dal 1995 a oggi.
“A partire dal 2008 – scrive l’Istat – il peso della componente sanitaria si è gradualmente ridotto fino a tornare nel 2019 ai livelli degli anni ’90 (22,3%)”. Al contrario, “la previdenza ha sempre rappresentato la prima voce di spesa”, pure se “ha visto ridurre il suo peso nel tempo (-4 punti percentuali nell’ultimo anno rispetto al 1995)”.
Ciò malgrado nel 2019 questa voce abbia assorbito il 39,2% della spesa corrente, pari a 317,5 miliardi. A fronte di ciò le prestazioni assistenziali – dove dentro c’è di tutto, dagli 80 euro al reddito di cittadinanza, hanno assorbito solo 52,7 miliardi. La sanità ha raggiunto il suo picco nei primi dieci anni del Duemila, con un picco massimo del 26,8% nel 2006, per poi decrescere fino ai livelli odierni.
Cosa ci dice questa sommaria ricognizione? Che l’Italia ha molto a cuore la protezione sociale. Soprattutto quella delle pensioni.
Risegnalo che la spesa pensionistica include 90 miliardi di voci spurie: in primo luogo 58 mld di imposte (che sono le più alte nell’ambito dei 35 Paesi OCSE), in secondo luogo 20-25 mld di spesa assistenziale (che è di pertinenza della fiscalità generale) e 10-15 mld di TFR, che può essere riscosso decenni prima del pensionamento. Al netto, la spesa pensionistica scende abbondantemente sotto i 200 mld, come è confermato dall’importo netto delle pensioni che risulta dall’Osservatorio INPS e che per il 2018 è pari a 183 mld (10,4% del Pil).
«Le pensioni vigenti al 1° gennaio 2019 sono 17.827.676, di cui 13.867.818 di natura previdenziale (vecchiaia, invalidità e superstiti) e le restanti 3.959.858 di natura assistenziale (invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali). Nel 2018 la spesa complessiva per le pensioni è stata di 204,3 miliardi di euro, di cui 183 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. È quanto emerge dall’Osservatorio sulle pensioni erogate dall’INPS che analizza i dati del 2018.»
https://vincesko.blogspot.com/2020/01/lettera-le-bufale-del-sole-24-ore-e-di.html
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Oltre alle precisazioni di Vincesko, sarebbe interessante aggiungere alcuni dati. Ad esempio, cosa emerge dalle classifiche europee se si considera l’ammontare procapite medio netto delle diverse tipologie di prestazioni pensionistiche. Mi chiedo: non e’ che sono sotto-finziati servizi assistenziali diversi dalle pensioni, più’ che essere sovra-finanziate le pensioni?
Ricordo che da quando sono stati effettuati i maggiori tagli alla spesa pubblica compresa la spesa sociale, da 9 anni a questa parte, il debito dello stato e’ passato dal 118.7% al 135% del 2019.
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