L’anno del record (in euro) dei conti esteri italiani

Poiché avremo prevedibilmente una certa tendenza a deprimerci, mano a mano che le statistiche ufficializzeranno il disastro di questo 2020, vale la pena usare un po’ di tempo semplicemente per ricordare che prima della pandemia, ossia un secolo fa, la nostra economia esibiva il record storico del suo saldo corrente dai tempi della nascita dell’euro.

Tutto questo, vale la pena sottolinearlo, mentre usavamo una valuta che per molti è l’origine di tutti i nostri mali (quali?), ma che evidentemente non ci ha impedito di chiudere la nostra contabilità con l’estero, ché questo misura il saldo corrente, con un attivo di 52,9 miliardi, il 3% del Pil, “il valore più alto dall’avvio dell’Unione monetaria”, come ricorda Bankitalia nella sua ultima relazione.

Il grosso della fatica di questo avanzamento – nel 2010 avevamo un saldo negativo di quasi il 4% del Pil – lo ha fatto il settore esportatore che, malgrado l’euro (o forse proprio grazie all’euro) ha generato un avanzo sulla bilancia dei beni di 56,9 miliardi e un minore disavanzo dei servizi per 1,8 miliardi. Notevole anche il progresso dei redditi primari, ossia i rendimenti dei nostri investimenti esteri, che hanno generato un reddito netto. Una tendenza iniziata nel 2016 che ha rallentato leggermente nel 2019 dopo un triennio di crescita, ma generando comunque 14,9 miliardi di saldo positivo.

E’ utile sapere che il settore turistico ha giocato, sempre nel 2019, un ruolo molto importante, nella nostra bilancia dei pagamenti. La spesa dei turisti esteri in Italia è cresciuta del 6,2%, mentre non riusciamo a colmare il disavanzo dei trasporti, arrivato a 9,8 miliardi.

Ovviamente il persistente andamento positivo del saldo corrente ha migliorato drasticamente la nostra posizione patrimoniale netta sull’estero, che rappresenta il saldo dei nostri attivi patrimoniali esteri e dei debiti patrimoniali che abbiamo con l’estero, che è ancora negativa ma solo per l’1,7% del Pil. Vicina insomma al pareggio. La qualcosa è un segnale di stabilità finanziaria per noi molto importante, vista la sensazione di fragilità che promana dalla nostra situazione fiscale. Per dare un’idea del progresso fatto in questi anni, basta ricordare che dal 2013 abbiamo recuperato 22 punti di pil su questa voce.

Ricordare questi numeri non serve tanto a piangere sul latte versato di un anno ormai passato, ma a capire che, per quanto il contesto sia diventato avverso, e perciò fonte di dati che non sarà piacevole leggere, l’economia italiana ha le gambe robuste abbastanza da riprendere lo slancio dopo il brutto inciampo della pandemia. A patto però di comprendere la lezione che arriva da questi numeri.

La prima cosa che bisogna capire è che gli scambi con l’estero sono per noi importantissimi. Ossia è importante essere non soltanto capaci di permeare l’estero con le nostre produzioni, ma di essere permeabili a nostra volta, esattamente come è successo fino ad ora. Questo vale per le merci, ma anche per i servizi e i capitali.

La seconda cosa sulla quale bisognerebbe almeno meditare riguarda le numerose tentazioni di trovare scorciatoie. Ieri era la moneta sovrana, oggi la cancellazione dei debiti nel sue varie possibili forme. Domani i prestiti più o meno gratis. Finora non sono state le scorciatoie a portare avanti la nostra economia, ma un lavoro intelligente e coraggioso. Abbiamo dimostrato di esserne capaci. Non c’è motivo perché questo cambi. Pandemia o no.

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