L’evasione fiscale “emigra” da Sud a Nord

Un bel lavoro di Bankitalia ci consente di apprezzare come siano cambiate le opinioni dei nostri concittadini sul fenomeno dell’evasione fiscale, che accompagna da almeno un ventennio a questa parte le nostre cronache di finanza pubblica e s’iscrive d’ufficio all’ampio catalogo delle nostre lamentazioni.

Lavoro utilissimo, tra le altre cose, perché ci consente ancora una volta di osservare come da lungo tempo la questione meridionale che affligge dall’Unità d’Italia il nostro paese sia stata risolta. Non tanto esportando il Nord al Sud, come pure si voleva, ma il contrario. “Una certa propensione all’evasione appare diffusa tra la popolazione italiana – scrive Bankitalia -. Essa è maggiore tra le persone con bassi livelli di istruzione e di reddito, anziane e residenti nel Mezzogiorno; è cresciuta nel tempo, soprattutto nel Nord e tra i giovani con meno di 30 anni”.

Due parole sul lavoro prima di presentare i risultati. La fonte sono le indagini campionarie – quindi sondaggi – svolte fra il 1992 e il 2013. Le risposte sono state elaborate per arrivare alla formazione di un indice che misuri sinteticamente la propensione all’evasione, con riferimento ai vari gruppi sociali, nella sua evoluzione temporale.

Come si può osservare dal riepilogo sopra, nel ventennio considerato la propensione ad evadere è aumentata e, come dicevamo prima, si osserva un cambiamento “antropologico”. Prima erano in gran parte anziani meridionali, poi sono diventati under 30 settentrionali. Un’evoluzione sicuramente curiosa.

Sopra si possono leggere le opinioni, espresse in percentuale, di risposte positive alle domande formulate dai sondaggi. Interessante osservare che la percentuale di coloro che ritiene giusto non pagare le tasse se si ritengono ingiuste sia diminuita dal 1992, quando era il 32,5%, ma rimane comunque al 24,4%. In sostanza un contribuente su quattro si sente potenzialmente legittimato ad evadere il fisco a suo insindacabile giudizio. Notate che tale diminuzione non impedisce che diminuisca il numero di chi crede che pagare le tasse sia un dovere del cittadino, dal 92,1% del 1992 al 91,7% del 2013.

Si potrebbe speculare a lungo sulle risposte dei sondaggi, ma a ben vedere serve a poco. Meglio ricordare che secondo i dati forniti nel 2019 dal ministero delle finanze, l’evasione nel nostro paese valga circa 110 miliardi, suddivisi fra evasioni di tasse (il 90%) e di contributi (il 10%).

L’entità di queste risorse spiega perché nel tempo il problema dell’evasione fiscale sia sempre più sentito dai nostri connazionali, pure se, nel confronto con l’Europa, “l’Italia è in una posizione intermedia per quanto riguarda la disponibilità a giustificare comportamenti di evasione”.

Questa sorta di autoindulgenza non impedisce che “la percezione della diffusione del fenomeno nella società è invece superiore alla media”.

La buona notizia è che sembra essere rientrata già dal 2013 “la più alta propensione registrata per gli autonomi negli anni novanta”. Quella meno buona è che “una certa propensione all’evasione appare diffusa tra la popolazione italiana”, col trend che abbiamo visto spostarsi dal Sud verso il Nord, con l’aggravante che questa tendenza appare diffondersi sempre più fra gli under 30. Sono giovani, ma si faranno.

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