La globalizzazione emergente. L’alba dell’Internet cinese
Il video sopra ha salutato l’inizio del quarto Digital China Summit che si è svolto a Fuzhou fra il 25 e il 26 aprile. Lo scopo era mostrare come il paese si sia ormai imbarcato per il “nuovo viaggio per una Cina digitale” e nulla come lo spettacolo di 1.500 droni che disegnano nel cielo una enorme dragone racconta meglio questa transizione. Nel passato quelle luci sarebbero state ordite con cinesissimi fuochi d’artificio. Oggi coi droni. L’economia analogica è stata sostituita da quella digitale. I fuochi d’artificio dai robot. Ma è sempre la Cina. Fra le curiosità che hanno animato questa edizione, si segnala la possibilità per i partecipanti di pagare in yuan digitali i loro consumi, oltre che tramite le piattaforme digitali di Alibaba e Wechat. E questo dice moltissimo del futuro prossimo del sistema dei pagamenti cinese.
Adesso facciamo un passo nel futuro prossimo. Fra poco meno di un anno a Hyderabad, in India, si svolgerà la World Telecommunication Standardization Assembly, appuntamento quadriennale organizzato dall’ITU, l‘organizzazione internazionale delle Nazioni Unite che studia gli standard delle telecomunicazioni, già teatro, nel 2012, della clamorosa spaccatura che abbiamo già osservato fra paesi emergenti, che vogliono avere maggiore voce in capitolo nella gestione degli standard globali della rete internet e della rete stessa, e paesi avanzati che vogliono mantenere sostanzialmente il sistema attuale di gestione di internet.

La riunione doveva svolgersi nel 2020, ma è stata rimandata a causa del Covid. Ma è un evento che bisognerà segnarsi sul calendario, perché servirà a capire come si svilupperà il dibattito su Internet che, in maniera che molti giudicano impropria, ha iniziato a far parte dell’agenda dell’ITU esondando dai tavoli dove di solito se ne discute.
Per grandi linee, infatti, le decisioni su internet vengono presi da diverse entità, alle quali contribuiscono anche il settore privato e molte organizzazioni alle quali partecipa anche la società civile. Per Internet sono fondamentali l’Internet Engineering Task Force (IETF), che si occupa di studiare e seguire l’evoluzione tecnica di Internet all’interno del quale opera l’Internet Architecture Board (IAB) che svolge anche un ruolo per l‘Internet Society (ISOC) , e poi l’ICANN, di cui abbiamo già discusso. A questi si aggiungono i registri regionali di Internet e altre entità come il World Wide Web Consortium.
Questo metodo di gestione è stato definito multi-stakeholder e a questo sistema di gestione si oppone ormai da qualche anno un altra idea di gestione di internet che trova negli organismi internazionale di matrice governativa il luogo dove i blocchi emergenti stanno cercando di orientare la discussione. Questo approccio viene definito genericamente come approccio multilaterale.
Questa è la ragione per cui l’ITU è divenuto così rilevante. Da diversi anni la Cina guida l’ITU e il segretario generale, Houlin Zhao, da tempo ripete di volerla trasformare in “agenzia tecnologica”, ossia un contenitore ampio abbastanza da ospitare dibattiti impegnativi come quello proposto l’anno scorso da Huawei, che proprio all’ITU inviò la sua relazione per disegnare una nuova architettura dell’IP che secondo alcuni osservatori avrebbe riscosso l’interesse dei russi, dell’Arabia Saudita e di molti paesi africani.
Per capire cosa significhi vale la pena ricordare come funziona Internet. I dati vengono trasmessi sulla base di un protocollo che si chiama TCP/IP, dove TCP sta per “Transmission Control Protocol” e IP sta per “Internet protocol”. In sostanza i dati che compongono un file vengono suddivisi in pacchetti che vengono indirizzati verso il destinatario, identificato proprio tramite un indirizzo IP. Quando un computer viene collegato a una rete internet gli viene assegnato un indirizzo IP che in maniera statica o dinamica lo mette in condizione di ricevere le spedizioni dei pacchetti. Da ciò si deduce che la gestione degli indirizzi IP consente in pratica di identificare chi utilizza Internet. Ed è proprio questa la ragione dei timori di molti che in tale controllo da parte del governo individuano il fine ultimo della proposta cinese.
Che sia vero a falso è questione che dovrà essere dipanata dai tecnici. Il punto saliente è un altro. All’ITU si vanno a confrontare due diversi approcci: quello multi-stakeholder, sostenuti dalle entità – Usa in testa – che finora hanno gestito Internet, e quello multilaterale, che trova nell’ONU, consesso di governi nazionali, il suo luogo di elezione anche probabilmente grazie a un certo lavorio diplomatico da parte dei cinesi.
Il fatto che l’ITU si candidi a interpretare il ruolo di camera di compensazione delle istanze nazionali sul futuro di internet significa chiaramente, Cina o non Cina, spostare il focus della governance da un ambiente a-governativo (con la rumorosa eccezione degli Stati Uniti che abbiamo visto) a un forum intergovernativo. Significa dare agli stati il potere di regolare ciò che è squisitamente sovrastatale. Quando la Cina dice di voler favorire il multilateralismo, vuole dire esattamente questo. Usare l’Onu, dove è adeguatamente rappresentata, per cambiare le coordinate della globalizzazione, della quale Internet è struttura portante da almeno un trentennio. E questo ci porta verso la parte conclusiva della nostra breve ricognizione: Internet oggi significa innanzitutto piattaforme tecnologiche.
(4/segue)
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