Il calo del tasso naturale di interesse non risparmia neanche la Cina

Un modo interessante per valutare l’intensità del coinvolgimento cinese nella globalizzazione avvenuto nell’ultimo ventennio è osservare come anche la Cina abbia registrato una crescente sensibilità all’andamento internazionale del tasso naturale di interesse. Parliamo di quel tasso, squisitamente teorico, che permette all’output potenziale di essere uguale a quello effettivo a fronte di un livello stabile di inflazione nel medio periodo, semplificando la definizione che ne diede Wicksell nel lontano 1936.

Il punto qui, però, non è teorico ma squisitamente politico. Se anche in Cina si osserva il declino del tasso naturale che caratterizza le economie avanzate – che si collega alla nota narrazione sulla stagnazione secolare – allora vuol dire che l’economia cinese, malgrado conduca una politica monetaria ancora molto condizionata dall’inconvertibilità della moneta, è perfettamente inserita nel contesto globale. O, il che è la stessa cosa, che il contesto globale influenza i fattori monetari anche di economie che sembrano impermeabili come quella cinese. La globalizzazione del declino dei tassi naturali, insomma, non risparmia neanche le economia pianificate.

Questo è almeno sembra essere il senso di un paper diffuso di recente dalla Bis che fotografa proprio l’andamento del tasso naturale cinese, che com’è noto non può essere misurato ma stimato, risiedendo in questa caratteristica una delle peculiarità di questa raffinata mitologia.

Il presupposto che spiega questa “sensibilità” cinese agli andamenti globali del tasso naturale forse risiede proprio nella Grande Trasformazione che l’economia cinese ha intrapreso nell’ultimo ventennio, e che ha coinvolto anche la politica monetaria di Pechino. La Cina ha di fatto cambiato paradigma, passando da strumenti di controllo degli aggregati monetari all’uso crescente della manovra del tasso di interesse. In sostanza, la Cina è passata da una rigida pianificazione del credito a un modo di controllo più somigliante a quello occidentale.

Questa evoluzione si è consumata fra il 1984, quando la People Bank of China (PBC) iniziò a funzionare come una banca centrale, e il 2009, quando la Banca iniziò a impostare una politica monetaria basata su tassi di interesse orientati al mercato.

“Attualmente, – scrivono gli autori del paper – la PBC utilizza una combinazione di strumenti di politica monetaria basati sul prezzo e sulla quantità, nonché strumenti macroprudenziali. Questa combinazione si è dimostrata efficace nel raggiungere gli obiettivi chiave della PBC di garantire la stabilità dei prezzi e promuovere la crescita economica”. La PBC è ancora impegnata nella modernizzazione dei propri strumenti in chiave “mercatistica”. Nel 2019, ad esempio, ha riformato il Loan Prime Rate (LPR) per orientarlo maggiormente alla logica del mercato.

Questi cambiamenti hanno avuto chiari effetti sull’andamento del tasso naturale stimato dagli autori del paper. I grafici sotto riepilogano le variabili prese in considerazione.

Le conclusioni sono invece osservabili dal grafico sotto.

In sostanza, “il calo tendenziale stimato del tasso di interesse naturale cinese rispecchia quello osservato in altre economie”.

Il tasso naturale cinese ha avuto una media del 3-5% fra il 1995 e il 2010 per poi declinare fino al 2% a fine 2019, che con un’inflazione al 2-3% implica un tasso nominale del 4-5%. La globalizzazione dei tassi bassi, insomma, non risparmia la Cina. O, per meglio dire, la globalizzazione tout court.

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