Se decresce anche il rendimento della ricerca scientifica
La fortunata espressione del Censis, secondo il quale siamo entrati nell’epoca dei rendimenti decrescenti degli investimenti – sociali ma non solo – sembra si attagli perfettamente alla sorta osservata in un recente studio dedicato agli investimenti in ricerca e sviluppo, dove emerge con chiarezza che anche il rendimento di questi investimenti, storicamente considerati la chiave dello sviluppo economico, è in robusto calo. Un caso?
Se guardiamo i dati raccolti dall’autrice, che paragona la produttività di questi investimenti e la crescita nominale negli Stati Uniti, emerge con chiarezza che i due andamenti sono sostanzialmente simili.

Come un organismo che invecchia, anche la società americana – ma probabilmente vedremmo lo stesso anche in altre economie avanzate – rallenta di anno in anno. Questo malgrado la spesa per ricerca e sviluppo – lo studio cita un dato del 2015 – dei primi mille grandi investitori sia stata nell’ordine dei 680 miliardi, in crescita del 5% rispetto all’anno precedente.
Ciò malgrado – e nonostante il costante aumento delle forze impegnate in queste attività (scienziati e ingegneri) – “i rendimenti della spesa in ricerca e sviluppo sono diminuiti del 65% negli ultimi tre decenni”, nota l’autrice dello studio.
Non mancano ovviamente le teorie che giustifichino questo andamento, sostanzialmente concordi sul fatto che il calo del rendimento dipenda dalla difficoltà crescente a sviluppare innovazione in mondo già ipersviluppato. Spiegazione che tuttavia non convince la ricercatrice, secondo la quale è più probabile che sia la qualità delle imprese che fanno ricerca ad essere peggiorata.
Non che questa prospettiva sia più rassicurante. Se le imprese non sanno più sviluppare risultati soddisfacenti dalla ricerca, ciò solleva notevoli interrogativi sul capitale umano che vi è impegnato. Ma questo però non vale per tutti. L’autrice ha esaminato quarant’anni di dati per le società Usa quotate in borsa è ne ha tratto l’informazione che il rendimento medio massimo degli investimenti è aumentato nel tempo. Segno evidente che la tendenza alla decrescita non vale per le aziende al picco della distribuzione statistica. E se si guarda ai settori, si evince altresì una diversa distribuzione dei risultati. Ciò per dire, insomma, che anche il tipo di azienda e il settore dove abita fanno la differenza.
Per dirla con le parole dell’autrice, “mentre le opportunità all’interno delle industrie diminuiscono nel tempo, le aziende rispondono creando nuove industrie con maggiori opportunità tecnologiche”. Siamo, insomma, all’interno di un’economia che premia la cosiddetta “distruzione creatrice” che porta con se il vantaggio di migliorare l’allocazione delle risorse e lo svantaggio di un notevole costo sociale, se queste trasformazioni non vengono gestite. “Mentre le industrie possono essere condannate – osserva ancora – le aziende non devono esserlo”, visto che “possono entrare in settori con maggiori opportunità”, che è molto facile a dirsi, ma meno a farsi.
La buona notizia, per concludere con le parole dell’autrice, è che “il problema del peggioramento delle aziende è risolvibile, mentre quello dell’innovazione non lo è”. Quindi a patto di accettare il principio che dobbiamo costantemente rinnovarci per migliorare non avremo nessun problema. Salvo quello che potremmo non averne voglia. E il trend decrescente degli investimenti sembra testimonianza di questa ritrosia. Non del contrario.