L’anima della moneta non cambia col digitale

Un bell’intervento del direttore generale della Bis di Basilea ci ricorda un’elementare verità che l’entusiasmo per il progresso tecnologico, caratteristica alquanto infantile di una società ormai matura – per non dire senescente – tende abilmente a celare: la natura di una moneta. Ossia la questione fondamentale – o, per dirla col Faust di Goethe la Gretchenfrage: qual è l’anima di una moneta? Cosa la anima, le dà forza e quindi spendibilità?

“Oggi – dice il banchiere – innovatori e futurologi propongono nuove risposte a questa domanda. Alcuni dicono che in futuro la moneta e la finanza verranno fornite da alcune big tech; altri sognano un sistema decentralizzato dove blockchain e algoritmi prendono il posto di persone e istituzioni. E forse tutto questo accadrà nel Metaverso”. Conclusione ironica che ne prelude un’altra: “L’anima della moneta non appartiene né alle big tech né a un registro anomino. L’anima della moneta è la fiducia. E le banche centrali sono state e continuano ad essere le istituzioni meglio posizionate per fornire fiducia nell’età digitale”.

Ovviamente si potrebbe liquidare questa affermazione nell’ampio catalogo di convinzioni che fanno buono il vino dell’oste. Ma così facendo si dimostrebbe solo una scarsa conoscenza della storia della moneta. Quest’ultima, nei millenni trascorsi da quando è iniziata, oggi è arrivata al culmine più raffinato della sua epopea: la sua smaterializzazione. Quest’ultima ormai è un fatto compiuto che non ha nulla a che vedere con la rivoluzione digitale. Semmai la precede, e pure di parecchio. È il punto d’arrivo, visibile già con la fine del sistema di Bretton Woods, di una grande trasformazione che ha condotto dalla moneta merce alla moneta ”convenzione sociale”, come la chiama il banchiere il cui valore è rafforzato dagli strumenti costituenti di questa convenzione. A cominciare, appunto, dalla Banca centrale.

Quest’ultima, ormai struttura sociale secolare, è la sua volta la dimostrazione vivente della secolarizzazione del denaro, che ha strappato il valore dall’idea intrinseca di una merce e l’ha conferito a un’entità puramente storica.

Di fronte a questa entità impallidiscono i tentativi di tanti sedicenti rivoluzionari – i fornitori di stablecoins che ”prendono a prestito la fiducia” dalle monete esistenti – o gli arbitri delle blockchain che alimentano l’illusione della finanza decentralizzata e replicano senza saperlo (o più probabilmente sì) il desiderio di estrarre ricchezza dalla moneta che diede origine al concetto e alla pratica del signoraggio. Privilegio di cui anche la banca centrale gode, senza però la vocazione del profitto che anima i poteri emergenti.

Il succo della questione potremmo semplificarlo con una semplice domanda: preferireste affidare la gestione della moneta a chi vuole emetterla per guadagnarci o a chi vuole garantirne il valore?

Questa è la autentica Gretchenfrage.

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