L’occhio del debito nel ciclone del credito
Vale la pena dedicare qualche ora alla lettura dell’ultimo Geneva report, il ventiquattresimo della serie, che già dal titolo (Debt: the eye of the storm) spiazza il luogo comune e il sentito dire. Per la semplice ragione, e si capisce scorrendolo, che ai tempi d’oggi, malgrado mai sia stato così elevato, il debito sembra la cosa più tranquilla rispetto a ciò che vi gira intorno. L’occhio del ciclone, appunto.
Una conclusione che molto deve alla constatazione che su queste colonne abbiamo ripetuto fino allo sfinimento: a un debito così elevato devono corrispondere evidentemente altrettanti crediti. Per dirla con le parole del rapporto: “Le famiglie potrebbero non essere mai state più ricche”. E il condizionale è d’obbligo solo perché sembra brutto dire una cosa del genere. E tuttavia è perfettamente logico, se uno conosce il funzionamento della contabilità (caratteristica non così comune come si pensa fra i tantissimi che parlano di economia).
Sicché l’occhio del debito, forse chiuso dai tassi rasoterra, dorme serenamente incurante della tempesta che – paradossalmente – proprio gli stessi crediti potrebbero aver generato. Fuor di metafora, i creditori, che esprimono un consenso politico, non saranno sempre così clementi – per anni hanno accettato tassi negativi – in un contesto di rialzo dei tassi, di inflazione che morde, e soprattutto di spazi fiscali che per una ragione o l’altra dovranno restringersi. Il disindebitamento, da tutti auspicato e prudentemente rimandato, non può che generare un dimagrimento dei crediti, sempre per la logica della contabilità, perché purtroppo non viviamo nel mondo dove i crediti aumentano e i debiti diminuiscono.
Ed è qui che il discorso diventa politico, e almeno per due ragioni. La prima, che riguarda i paesi emergenti, dove il rapporto individua – a cominciare dalla Cina – le maggiori vulnerabilità, per questioni che andremo ad approfondire. La seconda ragione, che riguarda proprio i paesi avanzati, quelli dove si concentrano i debiti e i crediti. La domanda è se le nostre società saranno disposte a tenere ancora chiusi l’occhio del debito per non scivolare nella tempesta dei crediti. O, per essere più chiari, se saranno disposte ad essere meno ricche, ma più sostenibili. Questione che non riguarda solo la finanza, evidentemente, ma l’intera infrastruttura globale, a cominciare da quella ambientale.
Non si tratta, qui, di sostenere una via alla decrescita, che è priva di senso economico. Ma osservare che al livello attuale della nostra cornice istituzionale, abbiamo abbondantemente raggiunto i limiti in cui si possono “tirare” le corde del sistema. Non è un caso che le banche centrali sembra stiano improvvisamente rinsavendo. Non c’entra l’inflazione. Piuttosto il fatto che bisogna far capire che prima o poi si deve togliere il piede dall’acceleratore prima di andare a sbattere. Prima che il ciclone inghiotta il suo occhio.
(1/segue)