La “grande livella” della diseguaglianza: la guerra
Dovremmo sempre prestare molta attenzione a ciò che desideriamo, visto che potrebbe realizzarsi, ma spesso non come l’avevamo immaginato. Pensate alla diseguaglianza: ormai è il tema più trendy dell’economia internazionale e quindi è tutto un esercitarsi a trovare rimedi e proporre soluzioni. Intento lodevole, senza dubbio.
Ma la storia ci ricorda che esistono modi molto brutali per azzerare a quasi certe differenze. Anzi: sostanzialmente il modo è uno: la distruzione della ricchezza. Uno shock economico, come quello di una guerra, come ci ricorda il capitolo di un libro molto bello dedicato alle conseguenze economiche della seconda guerra mondiale, che non sarebbe male sfogliare in questo tempo funestato da una guerra alle nostra porte.
Dei tanti capitoli che andremo ad esplorare, qui per adesso ci limitiamo a quello che ci ricorda una elementare verità. Quando scoppia una crisi molto forte – e la guerra è un eccesso facilmente comprensibile quanto alle sue conseguenze – la piramide sociale si schiaccia. Soffrono tutti. La ricchezza, appunto, si distrugge. E la sua distruzione porta con sé la fine delle disparità economiche. Processo più volte osservato nella storia, e che si è ripetuto anche alla fine della seconda guerra globale.
Vedremo in dettaglio, ma prima conviene appuntarsi una domanda alla quale non si ha certo la pretesa di rispondere: esiste la possibilità di migliorare le disparità senza distruggere la ricchezza? Il nostro esperimento socio-economico recente pare punti proprio in questa direzione. Ma si riesca è tutto da vedere.
Torniamo alla nostra storia. L’autore ci ricorda che agli albori del XX secolo il reddito e la ricchezza erano distribuiti in maniera molto ineguale nei paesi avanzati. Ma tutto ciò cambiò con la guerra. In Francia, Germania e Regno Unito, dove la diseguaglianza aveva raggiunto massimi storici alla vigilia del primo conflitto globale, si osservò un rapido declino già nell’immediato dopoguerra, e in Russia ancora prima, dopo la rivoluzione bolscevica. Negli Usa, invece, lo shock arrivò con la crisi del 1929 che ridusse redditi e diseguaglianza.
Per dare un’idea, la quota di reddito dell’1% più ricco diminuì di circa un terzo, mentre i redditi nazionali declinavano da 6% neozelandese, a oltre il 60% giapponese.

Gli studiosi hanno osservato che il declino della diseguaglianza si concentra proprio negli anni di guerra. Hanno calcolato, ad esempio, che in Francia il 92% del declino netto di ricchezza per il top 1% avviene a partire dal 1938 e fino al 1945, anche se la tendenza globale alla diminuzione si osserva fino agli anni ’80. Anche negli Usa, la metà della riduzione della diseguaglianza osservata, avviene fra il 1940 e il 1945. In Giappone, poi, alla fine della guerra la diseguaglianza era ai suoi minimi storici, similmente a quanto osservato in Germania nel 1950. Un effetto meno intenso si è osservato invece nel Regno Unito.
Ogni paese fa storia a parte, nella diseguaglianza, ovviamente. Ma le grandi tendenze sono simili, anche se possono verificarsi delle eccezioni. Sud Africa ed Argentina, ad esempio, videro aumentare la diseguaglianza (misurata da indice di Gini) durante la seconda guerra globale perché le élite approfittarono senza troppi riguardi dell’export di materie prime per arricchirsi ancor di più. Ciò a dimostrazione del fatto che laddove non c’è distruzione – la guerra non si vide granché in america Latina – la ricchezza prospera, seppure con le storture del sistema istituzionale che la organizza.
Sul perché la diseguaglianza diminuisca con la distruzione della ricchezza non serve aggiungere troppo. Vale la pena però riportare alcuni dati che servono a dare un’idea di quanto possa essere estesa tale distruzione quando c’è una guerra. La Francia, dopo il secondo conflitto globale, si trovò con i due terzi del suo stock di capitale sparito. Il Giappone perse un quarto del suo patrimonio immobiliare e l’80% della sua flotta mercantile, mentre i redditi dei suoi investimenti esteri si volatilizzavano. Inoltre i governi dovettero adottare politiche estremamente invasive per reggere l’economia di guerra – dal controllo dei prezzi a quello dei salari – che condussero a un aumento dell’imposizione sui redditi più alti che passò, in media, da un terzo a due terzi del reddito.

La cosa interessante da ricordare è che gli effetti di questa “equalizzazione” non cessarono immediatamente dopo la guerra, anche se, come abbiamo detto, durante la guerra concentrarono il grosso dei suoi effetti, ma fecero sentire i propri effetti anche nei decenni successivi.
Come una risacca, gli effetti della guerra sulla distribuzione dei redditi, cartina tornasole di un ordine sociale, si trascinarono fino agli anni ’70. Il dopoguerra inaugurava un nuovo ordine sociale – si pensi alla promessa della piena occupazione – che sfavoriva in qualche modo la concentrazione della ricchezza. Forse perché si doveva innanzitutto ricostruirla. Fu il compito che svolsero i “Trenta gloriosi”, che ci hanno portato ad oggi.
E oggi, che siamo ricchi come mai prima e diseguali quasi come prima, ha senso porsi la domanda di cosa ci riservi il futuro. E magari farsi venire qualche buona idea per provare ad immaginarlo.
Egr. dott. Sgroi, mentre leggevo l’articolo mi sono posto il problema di come si misuri la disuguaglianza o anche di come si misuri la ricchezza .
Si deve intendere quella reale, fatta di beni materiali utili ai bisogni ordinari dell’uomo, quella convenzionale, fatta di titoli, valute ed altri “beni” rappresentativi ? O c’è un tertium da considerare ?
Se si parla della prima, in caso di crisi ed emergenze varie possono nascere due problemi : quello della sua fungibilità, della possibilità di convertirla in beni di uso corrente barattandola; quello della sua disponibilità, cioè della possibilità di disporne pienamente e liberamente senza limiti e divieti, confische o espropri per motivi di pubblica necessità.
Se si parla della seconda, il problema di fondo è racchiuso tutto nella sua qualifica di “convenzionale”, il che banalmente vuol dire che conserva il suo valore finché la convenzione viene onorata o fatta rispettare ; tra i beni che la rappresentano includo oro e affini.
Così stando le cose appare evidente che una guerra, pandemia, cataclisma ed altra catastrofe naturale o sociale rendono quanto mai precarie le posizioni di vantaggio pregresse. Ci rimane forse una terza opzione tutta da rivedere e rivalutare, dalla quale possono dipendere il destino dei ricchi e dei nullatenenti allo stesso modo : il “capitale sociale” e i connessi beni relazionali. Questa è forse la sola prospettiva che deve seguire a quella distruttiva della “livella” per non incorrere ogni volta negli stessi errori.
Senza certezze, con umiltà ed il beneficio del dubbio !
Con stima
Francesco Barone
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