L’India supera la Cina nei pagamenti digitali retail

Distratti come siamo dal flusso turbinoso degli eventi di casa nostra e del nostro condominio, ci accorgiamo appena delle innovazioni che silenziosamente procedono altrove, e specificamente in quelle ampie comunità che chiamiamo paesi emergenti e che di sicuro lo sono, nel senso che contano miliardi di persone che con grande fatica e molta creatività stanno faticosamente emergendo dagli abissi della povertà.

Fra queste immense comunità si segnala l’India, che forse più della Cina, esperimento autocratico chissà quanto riuscito, merita di essere osservata nel suo percorso per la ricerca e la costruzione della prosperità. Pratica che, purtroppo, si osserva poco. Perciò ho letto con notevole interesse un’analisi prodotta dalla Banca di Francia che racconta della straordinaria epopea vissuta in questi ultimi anni dai pagamenti digitali retail in questo paese, che ha superato anche la Cina nell’indifferenza generale.

Se pensate che sia un tema esotico, ricordate che l’India ospita una enorme quota di persone non “bancate”, ossia prive dei tradizioni mezzi di pagamento. Perciò osservare lo sviluppo a dir poco frizzante di questi strumenti di pagamento alternativi, che inseriscono nel circuito dei pagamenti chissà quanti milioni di persone, è sicuramente un ottimo modo per farsi un’idea di quello che sta accadendo laggiù.

Il grafico sopra non ha bisogno di molti commenti. Nello spazio di pochi anni, ossia da quando è stata attivata la Unified Payments Interface (UPI), un sistema di pagamento in tempo reale, il numero delle transazioni è arrivato a sei miliardi, a maggio 2022, con un flusso di pagamenti giornalieri che nello stesso mese quotava circa 200 milioni di dollari al giorno. Su base annua, il valore di queste transazioni, riferito al 2021, è arrivato a 940 miliardi di dollari, che equivalgono al 31 per cento del pil indiano. I capofila di queste transazioni sono la banca centrale, Reserve Bank of India (RBI) e il National Payments Corporation on India (NPCI) che reggono l’infrastruttura, grazie anche al supporto operativo delle banche commerciali e del vasto ecosistema fintech nato in India.

Il risultato è che oggi l’India è al primo posto per transazioni digitali. Sempre nel 2021, questo tipo di pagamenti pesavano circa il 40 per cento del totale, ben oltre la Cina. L’evoluzione è stata favorita anche dalla diffusione degli smartphone: dal 2011 al 2020 la percentuale della popolazione in possesso di questi strumenti è più che decuplicato, passando dal 4,7 al 54,2%. Non solo. Anche il varo di un sistema di identità digitale su base biometrica – il sistema Aadhaar – e la demonetizzazione delle banconte di grosso taglio da 500 e 1.000 rupie decisa nel 2016, hanno finito con l’incentivare l’utilizzo di questa tecnologia.

Sempre nel 2016, inoltre, fu attivata la UPI, un sistema di pagamento utilizzabile col telefono che da quest’anno non richiede più un conto corrente per essere utilizzabile: basta un semplice cellulare anche non connesso a internet. Quindi è facile prevedere che l’utilizzo della piattaforma sarà ancora più intenso.

Il fatto che in India sia possibile fare pagamenti digitali senza avere un conto corrente e qui da noi ancora no, dovrebbe farci riflettere su chi sia davvero il paese emergente. Almeno se l’orizzonte di riferimento è il futuro.

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