La tokenizzazione del sistema monetario

Partiamo da qui: “Attraverso la dematerializzazione e la digitalizzazione, l’interazione tra denaro e
l’economia ha apportato profondi cambiamenti generali della società”. E poi, riflettiamoci.

Che significa? La separazione fra denaro ed economia è chiaramente un artificio che serve a ricordarci la natura di ogni transazione sul mercato. Ossia la corrispondenza di un certo bene/servizio con una certa quantità di denaro. E quindi la separazione, anch’essa artificiale al punto da sembrare reale, fra economia finanziaria e cosiddetta economia reale. Ossia fra banca e impresa. O, meglio ancora fra Banca centrale e sistema economico.

Ecco il punto: l’interazione fra questi due sistemi genera profondi mutamenti sociali. Ma vale anche il contrario ovviamente. Sono i mutamenti sociali a generare profondi cambiamenti nei due sistemi finanziario ed economico. Ma qui si scende dal campo tecnico-bancario a quello sociologico-filosofico, che mal s’attaglia alla Bis di Basilea alla quale dobbiamo l’incipit di questo post, e soprattutto l’analisi di un argomento che sembrerà astruso a tutti coloro che si spaventano delle parole difficili – token, ad esempio – ma il cui senso è estremamente trasparente: siamo alla vigilia di “profondi cambiamenti generali della società”, proprio a causa di questa evoluzione tecnologica. Dall’oro, alla banconota, al libro mastro custodito nelle banche medievali italiane e poi dell’età moderna, fino al libro mastro elettronico che ha preso il suo posto nell’età dei computer.

E adesso? Adesso si apre una prospettiva inusitata, foriera di chissà quali cambiamenti: la creazione di un libro mastro unificato che tratti le transazioni – qualunque tipo di transazione – come un semplice oggetto informatico, “tokenizzato”, ossia associato a un certo standard di costruzione. In sostanza: il trionfo del codice sul contenuto. Una purissima forma. Per dirla con le parole della Bis “la moneta programmabile delle banche centrali potrebbe legare insieme su un’unica piattaforma la moneta programmabile delle banche commerciali e le attività tokenizzate, rendendo così possibili transazioni e contratti in tempo reale”.

Prima di fuggire spaventati, pensate a una prima conseguenza. Nel nostro mondo attuale, e chissà per quanto tempo ancora, un contratto porta con sé una denominazione monetaria. Nel mondo dei token – ossia “il processo di rappresentazione digitale dei diritti su una piattaforma programmabile” – questo diventa un semplice dettaglio di secondo livello. Si scambiano oggetti informatici, non più solo monete. Ergo: la politica finanziaria diventa un di cui di quella che fissa il contenuto del token. Un super-regolatore internazionale succede all’autorità monetaria, che diventa in tal senso una succursale. Ancora la Bis: “Questa nuova infrastruttura finanziaria rappresenterebbe una trasformazione epocale, aprendo nuove possibilità economiche che potrebbero rivoluzionare il sistema monetario e finanziario”.

Perché farlo? “La tokenizzazione potrebbe sbloccare nuovi tipi di accordi economici che gli attriti insiti nel
l’attuale sistema monetario hanno finora reso impraticabile”. Farlo, quindi, perché è produttivo. La convenienza è l’anima stessa dello sviluppo capitalistico. A un patto però: “Il successo della tokenizzazione si basa sulla fiducia fornita dalla moneta della banca centrale e dalla sua capacità di unire insieme elementi chiave del sistema finanziario”.

Qual è il problema? “Gli attriti derivano dall’attuale progettazione del sistema monetario, nel quale il digitale e gli altri crediti risiedono in database proprietari, situati ai bordi delle reti di comunicazione. Questi database devono essere collegati tramite terze parti sistemi di messaggistica che inviano messaggi avanti e indietro”. Traduzione: al momento le transazioni, contenute nei silos informatici delle diverse banche centrali, vengono messe in collegamento da “ponti” digitali di proprietà di terze parti. Pensate ad esempio al sistema Swift. Questo rallenta le procedure e genera ritardi e disallineamenti che aumentano rischi e incertezza.

Ed ecco la soluzione: “La tokenizzazione è un percorso più fondamentale per affrontare le carenze del sistema attuale”. Sempre a patto di far leva “sulla fiducia nella banca centrale”, che dovrebbe diventare la garante dell’infrastruttura. E questo spiega perché la Bis ne parli nella sua relazione annuale. “La maggiore velocità di esecuzione e la riduzione dei costi non sarebbero gli unici benefici: in prospettiva, diventerebbero possibili transazioni completamente nuove, aventi come unico limite l’inventiva degli innovatori pubblici e privati”.

Potrebbe sembrare un fatto squisitamente tecnico, ma come ricorda in apertura di capitolo la banca, ogni innovazione tecnica si accompagna con cambiamenti sociali che sul momento non sono immediatamente visibili. In questo caso quello che risulta più evidente è che tutte le operazioni di regolamento potrebbero essere svolte in maniera automatica e integrata, con risparmio di costi, tempo e guadagno di certezza grazie all’intervento del denaro di banca centrale come strumento di regolazione.

Insomma, quando il mondo cambia è necessario cambiare il mondo. E neanche quello esotico, misterioso, per non dire astruso, del sistema monetario fa eccezione. “Si tratta di un cambiamento epocale nella nostra concezione della moneta e nel modo in cui avvengono le transazioni”, dice Hyun Song Shin, Consigliere economico e Capo della ricerca della BRI. “L’unico limite ai potenziali benefici è l’inventiva dei partner pubblici e privati che innoveranno sulla piattaforma”, conclude.

Comprendere le conseguenze di questo cambiamento è un altro paio di maniche. Come diceva il poeta, le scopriremo solo vivendo.

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Un Commento

  1. Francesco Barone

    Gent. Dott. Sgroi,
    l’idea di affidarsi ad un soggetto terzo, che supera le regole e la vigilanza dell’Autorità Politica (e non mi riferisco né alla BI né alla BCE e tantomeno alla BIS) di uno Stato o di una Comunità Organizzata di Stati (UE), a cui fanno riferimento i singoli soggetti ed Enti non personali, è un’eventualità che mi terrorizza.
    L’idea cioè che i meccanismi che regolano la vita di una persona siano nelle mani di organizzazioni autocratiche, controllate da sconosciuti che sfuggono a qualunque principio e valore etico, senza la possibilità di intervento di un Garante rappresentativo della volontà e soprattutto degli scopi che una moltitudine psico-fisico-emotiva di persone si è proposta di realizzare, mi preoccupa oltre ogni limite. Insomma immaginare già ora un gruppo ristretto di decisori che trattano se e dove spostare un ingente potere d’acquisto mi crea disagio e frustrazione.
    Personalmente sono nella posizione di chi discute sulla opportunità e legittimità del potere discrezionale affidato a soggetti privati di concedere credito, cioè di decidere sulla libertà degli altri ad operare in senso economico; figuriamoci poi pensare ad un soggetto che si auto investa di quel potere.
    Qual è il principio, postulato, fondamento etico in base al quale si concede alle istituzioni bancarie il potere discrezionale di decidere chi, come, dove, per quanto tempo ed in che misura possa disporre della ricchezza reale presente sul mercato con priorità rispetto ad altri o con prevalenza rispetto alla sua stessa capacità di spesa corrente? Allorché infatti si affida ad un certo soggetto una data somma di credito, di fatto lo si abilita ad acquistare dei beni che diversamente non potrebbe ottenere o a regolare precedenti rapporti conclusi senza averne avuto i mezzi.
    Il vero problema non riguarda i connotati oggettivi di questa pratica bensì quelli soggettivi. Questi semafori della circolazione monetaria ed insieme dell’economia reale, sono veramente qualificati ad amministrare con equità e nell’interesse generale il potere decisionale che loro hanno in pressoché totale autonomia discrezionale?
    Con tutto il rispetto che si deve a persona esperta ed illuminata quale la ritengo, mi accorgo che nelle sue argomentazioni non si intravvede questo problema nemmeno in lontananza. Ma c’è dell’altro a me pare che si tenda ad impostare il problema sempre più in termini oggettivi, dimenticando che in cima e a valle di tutte le questioni vi sono esseri umani cioè soggetti dai quali e per i quali ogni cosa trae ragion d’essere. Già in passato alcuni eminenti studiosi portarono a termine esperimenti e ricerche in campo fisico-nucleare senza porsi questo problema…
    Mi scuso per la franchezza e la ringrazio per avermi già dato ospitalità in queste pagine.
    Francesco Barone.

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