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Turchia, la svalutazione prosciuga il credito estero

L’ultimo rapporto sulle statistiche bancarie redatto dalla Bis di Basilea contiene un’informazione che aggiunge un altro tassello al complesso mosaico nel quale si agita l’economia turca, alle prese con una grave inflazione quantomeno alimentata – se non provocata – dalla notevole svalutazione della moneta che dalla metà 2018, ricorda la Banca, ha perso il 60% del suo valore.

Un salasso del genere difficilmente passa inosservato, e certo non favorisce la creazione di un clima di fiducia nei confronti del paese da parte dei prestatori internazionali. Lo dimostra il fatto che il flusso dei prestiti internazionali ad Ankara è sempre più striminzito. Nell’ultimo quarto, è stato appena un rigagnolo: solo sei miliardi di dollari.

La perdita di valore della moneta turca si è associata a un calo di 70 miliardi di dollari (grafico sopra a sinistra) – aggiustati per il cambio – di prestiti internazionali, che ha condotto a un declino del 37% dello stock di prestiti globali osservati all’inizio del periodo (grafico sopra al centro). La quota maggiore di questo calo ha riguardato prestiti in dollari, mentre quelli in euro sono rimasti più o meno costanti. La geografia conta, in qualche modo.

Il caso (?) vuole che l’altro paese verso il quale si è osservato un andamento simile, ma nel decennio scorso, è stato la Russia, che peraltro ha chiuso il 2021 con flussi in deciso calo. I prestiti transfrontalieri complessivi per Mosca erano a quota 90 miliardi, parecchio più bassi rispetto a pochi anni fa, prima dell’occupazione della Crimea, quando veleggiavano intorno ai 180 miliardi (grafico sopra a destra e grafico sotto).

Ancora la guerra non era scoppiata. Ma i prestatori hanno orecchie molto sensibili. Non amano le spericolatezze, e ancor meno le prepotenze. E scappano al minimo fruscio.

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