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Pensioni e lavoro guidano la classifica della protesta globale

Sapere per cosa protestiamo ci fa capire molto di come siamo, o quantomeno ci racconta di quali siano le linee di faglia che fanno traballare la nostra società. Questa osservazione viene condotta in un capitolo dell’ultimo World Economic outlook del Fondo monetario, laddove mostra come, nel tempo – dalla metà degli anni ’90 a oggi – si siano evoluti i motivi di protesta isolando alcune aree di riferimento: pensioni, regolazione dei mercati, protezione del lavoro, commercio, integrazione dei migranti.
Il risultato lo potete vedere nel grafico che apre questo post, che potremmo definire una cartina tornasole dei nostri mal di pancia. Sull’asse delle ordinate trovate il numero dei paesi coinvolti nelle proteste. Nelle ascisse i migliori anni della nostra vita trascorsa, dal 1994 al 2018, quindi prima della pandemia, ma comunque abbastanza vicino a noi per delineare una tendenza.
Il grafico contiene alcune sorprese e altre cose scontate. Quanto alle prime, è interessante osservare che dal 1994 fino al 2012 la questione migranti non era un tema così rilevante se non in pochi paesi. Erano gli anni d’oro della globalizzazione, d’altronde, e nessuno si preoccupava del flusso di popolazioni che attraversava le frontiere in cerca di opportunità.
Solo dopo il 2016, quando la deriva populista ha dato il meglio di sé, il tema migrazioni ha conquistato una maggiore ribalta, superando persino le proteste motivate dal commercio, che comunque non ha sollevato particolari agitazioni fino all’inizio degli anni Duemila, quando infatti la protesta No global ha alzato gradualmente il volume della sua voce.
Nessuna sorpresa, invece, per i temi all’apice della protesta globale. Prima fra tutti, e con ampio distacco, le pensioni, con la regolazione dei mercati e la protezione del lavoro a seguire con un certo distacco. Notate che le proteste per le pensioni hanno riguardato un numero crescente di paesi a partire dal 2008, quando la crisi subprime fece esplodere molte contabilità nazionali, costringendo i governi a varare riforme delle pensioni, nonché dei mercati, compresi quello del lavoro.
Questa rapida osservazione ci consente di trarre alcune conclusioni che, per quanto provvisorie, sembrano fondate abbastanza quantomeno per tenerne conto in ragionamenti futuri. Il tema delle pensioni non è soltanto l’esito scontato dell’invecchiamento delle persone, che sta generando un coorte crescente di individui che si avvicinano preoccupati alla terza età. E’ anche il risultato di una società che ha basato sul lavoro il suo patto sociale, da una parte, ma poi non è stata capace di sostenere questo patto con la costruzione di una situazione del mercato del lavoro capace di premiare il lavoratore, sia per il reddito distribuito che per le condizioni generali di vita che dal lavoro evidentemente ci si aspettava che derivassero.
Per di più, dimostrando una certa schizofrenia politica, per non parlare di populismo ante litteram, da una parte si è detto (e scritto) che la società si basava sul lavoro, e dall’altra si sono create condizioni sempre più generose (e onerose per il bilancio pubblico) per favorire il pensionamento, utilizzando le scuse più originali. Sicché la pensione è diventato il mito di intere società. Ovviamente adesso che il bengodi è finito, queste società protestano.
Il tema del lavoro non è meno rilevante. Le società del dopoguerra si sono costruite mettendo il lavoro alla base del patto sociale, come abbiamo ricordato, ma poi al lavoro è si è costantemente sottratta dignità, sia remunerandolo non adeguatamente, sia non creando le condizioni per tutelarlo in maniera efficace di fronte alla trasformazione dei mercati di beni e servizi. Non è un caso che gli andamenti delle due curve che rappresentano queste aree procedano similmente.
Rimane da capire cosa fare domani e come gestire una transizione ineludibile: quella della trasformazione del lavoro, da una parte, e del mantenimento di una coorte crescente di anziani, che ha tassi di dipendenza crescenti. Sarà interessante capire quale sarà il patto sociale del nuovo millennio. Ammesso che riusciremo a farne uno.
