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Bitcoin for dummies: la sfida di Satoshi

Correva l’anno 2008. Il mondo tremava, scosso dal cadere improvviso dei giganti. A settembre era fallita Lehman Brothers, dopo un’estate tormentata che aveva messo in ginocchio altre banche d’affari salvate per il rotto della cuffia. Il mese successivo la bufera investì i residui colossi di Wall Street e si diffuse come una pestilenza lungo tutto il globo.

In questa temperie alla fine di ottobre, sulla rete, apparve un paper firmato da un tal Satoshi Nakamoto che si intitolava Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System che già dall’abstract suonava come il lancio di un guanto di sfida da parte di un qualcuno, che poi si scoprì essere uno pseudonimo, nientemeno che al sistema finanziario organizzato, che in quel momento cadeva a pezzi e che solo l’amorevole e assai costosa cura dei governi avrebbe salvato dalla definitiva dissoluzione.

Non c’era momento migliore per lanciare la sfida. La reputazione delle banche non era mai stata così bassa. E già leggendo l’abstract si capiva il senso della proposta di Satoshi: “Una versione puramente peer-to-peer di denaro elettronico che consente pagamenti on-line fra due parti senza l’onere di dover passare attraverso un istituto finanziario”. Nessuno, in quel terminare di anno, aveva voglia di avere a che fare con una banca. E questo spiega perché la sfida divenne rapidamente popolare.

Ciò non vuole dire che sia stata immediatamente compresa. Già dall’esordio, infatti, richiedeva conoscenze specifiche complesse, lontane dalla portata di moltissimi cittadini. Anche oggi, che sono passati più di sette anni, molte persone ignorano cosa sia un sistema peer-to-peer e sanno ancora meno come si utilizzi. Il paper di Satoshi è roba da nerd, secchioni insomma. E già questo connota la sua portata sociale e quindi politica.

Non che sia strano. Se aveste chiesto a chiunque non fosse un mercante nei primi secoli dopo l’anno mille, di spiegarvi cosa fosse una lettera di cambio non avrebbe saputo rispondervi. L’innovazione procede sempre grazie a una minoranza che poi, forse, diventa maggioranza. Ed è in questo forse che si gioca la sfida di Satoshi.

Poiché ognuno di noi sarà determinante, è il caso di conoscere meglio il pensiero del misterioso Satoshi e il miglior modo per farlo è leggere insieme il suo paper. Per farlo dobbiamo imparare a distinguere i due livelli della sua rappresentazione, quello tecnico e quello economico. I due percorsi conducono alla conclusione che Satoshi riepiloga così: “Abbiamo proposto un sistema per le transazioni elettroniche che non si basa sulla fiducia”.

Fare a meno della fiducia: la scommessa del Bitcoin/bitcoin sta tutta qua. Ma attenzione: si parla di fiducia nell’intermediazione creditizia. La fiducia infatti non sparisce: si trasferisce semplicemente dalle banche alla potenza computazionale. Dall’uomo alla macchina. Il retropensiero è che queste ultime, in quanto teoricamente non manipolabili, siano più affidabili delle persone.

Questo piccolo dettaglio rimane sovente inosservato, malgrado emerga più volte nelle poche pagine scritte da Satoshi. Ma per comprenderlo nell’interezza della sua portata dobbiamo guardare ancora più in profondità.

(3/segue)

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La sfiducia più del credit crunch fa crollare gli investimenti italiani

Di fronte a dati allarmanti, come quelli che calcolano in un -30% la caduta degli investimenti italiani da inizio crisi, è giocoforza chiedersi come e perché sia potuto accadere tutto questo, se non altro per trarne un qualche ammaestramento per il futuro, ammesso che fossimo capaci di imparare dai nostri errori, piuttosto che ripeterli con fastidiosa regolarità.

Mi ha soccorso, in questa difficile opera di comprensione, un box che ho trovato nella relazione annuale di Bankitalia, che ospita un grafico nel quale la fantasia econometrica dei nostri studiosi ha dato veramente il meglio di sè sforzandosi di isolare le diverse componenti che possono aver determinato un siffatto disastro, che non è esagerato definire storico.

La componenti che determinano il flusso degli investimenti, secondo questa schematizzazione, sono cinque: l’incertezza, l’offerta di credito, il costo del capitale, il clima di fiducia e il valore aggiunto. Alcune di queste variabili hanno dignità statistica, altre sono stime e come tali vanno considerate, ossia disperati tentativi di dare corpo quantitativo a entità qualitative, come possono essere appunto il livello di incertezza e il clima di fiducia.

In questa incarnazione numerica di fenomeni squisitamente immateriali leggo il paradosso della cosiddetta scienza economica, che s’illude di misurare l’incommensurabile, senza il quale, peraltro, il misurabile non avrebbe senso economico alcuno. E la parabola degli investimenti declinanti italiana ne è chiara evidenza.

La storia comincia nel 2007 quando, contrariamente a quanto sostiene la vulgata, il declino degli investimenti italiano era già ben avviato. Al termine di quell’anno la curva degli investimenti tocca zero, portandosi in territorio negativo già nel primo semestre 2008, ossia ancor prima che l’autunno americano di Lehman Brothers allungasse le sue perturbazioni barometriche fino a noi.

Perché gli investimenti pre crisi declinano?

I nostri econometristi stimano che gran parte della responsabilità sia stata del costo del capitale, ancora troppo alto, almeno secondo gli standard dei tempi dello zero lower bound.

Ma guardando alle componenti ancora positive di quel periodo, osservo soprattutto che è il clima di fiducia che lentamente sparisce e solo in conseguenza scompare con lui l’offerta di credito. Ciò malgrado l’incertezza rimana stabile per tutto questo periodo e il valore aggiunto, che potremmo intendere come il livello del profitto atteso, rimanga quasi costante fino alla seconda metà del 2008.

Non chiedetemi cosa sia il clima di fiducia. E’ una di quelle cose che tutti sanno cosa siano, ma appena la si provi a definirla inevitabilmente si sbaglia. Ed è su questo che si basa l’economia, a ben vedere, quindi la disciplina che si propone di trovare i giusti prezzi di equilibrio. Ossia si basa su una cosa che non ha prezzo.

Quando inizia la fase terribile di fine 2008-2009, tute le componenti entrano in territorio negativo e contribuiscono a far sprofondare la nostra curva degli investimenti a quasi il -20%.

Nel 2010 il costo del capitale più basso e il tornare a far capolino del valore aggiunto riportano su la curva degli investimenti, ma è solo a metà del 2010 che riappare la fiducia che contribuisce ad abbattere l’incertezza, e compensando anche l’ancora timida offerta di credito, appena accennata lungo tutto il 2010 e il 2011.

La fiducia sostiene la curva degli investimenti fin a tutto il 2011, fino al terribile autunno di quell’anno, quando l’aumento costo del capitale – la crisi degli spread – il crollo dell’offerta di credito e lo sprofondarsi del valore aggiunto, che insieme alla fiducia approssima secondo Bankitalia le condizioni della domanda, tornano a far sprofondare la curva degli investimenti fino al -12%.

L’offerta di credito riappare, sempre timida, nel 2013, insieme a una robusta componente positiva rappresentata dal costo del capitale, che le politiche della Bce ormai hanno reso più che conveniente. Ma la fiducia?

Appare timida fra il finire del 2013 e i primi tre trimestri del 2014, ma già nel quarto è ridotta al lumicino, malgrado l’fferta di credito delle banche, per la prima volta da metà 2008, torna a un livello visibile.

A tal proposito Bankitalia spiega che “i vincoli imposti dall’offerta di credito spiegano circa un terzo
della riduzione degli investimenti nei periodi di crisi più acuta, il biennio 2008-09 e quello 2012-13; anche la loro influenza, tuttavia, è poi progressivamente venuta meno, con il normalizzarsi dei mercati finanziari e l’attenuazione delle tensioni sul debito sovrano”.

Ma adesso? “Nella fase attuale – spiega Bankitalia – la fase di accumulazione resta frenata dalle prospettive di domanda ancora bassa, seppure in ripresa, e dalla residua incertezza sull’evoluzione dell’economia”.

Quindi l’incertezza sull’economia frena le prospettive dell’economia. Con buona pace del credito facile ed economico.

Non sarà che serve un po’ di fiducia?