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Perché l’inflazione ha sconvolto la spesa alimentare

Ogni fenomeno inflazionistico racconta molto della struttura di un’economia. Perciò studiare in dettaglio ciò che è accaduto nell’ultimo biennio è un’ottimo modo per conoscere meglio noi stessi e il mondo attorno a noi. Un buon mezzo per studiare strategie di contenimento che servano magari a farsi trovare pronti la prossima volta, ben sapendo che è molto facile che comunque saremo sopresi dagli eventi. In fondo la sorpresa è il bello della vita.

Vale la pena perciò spendere qualche minuto per leggere un interessante articolo dell’ultimo bollettino economico della Bce dedicato all’analisi delle ragioni che hanno sconvolto il nostro carrello della spesa. In particolare di quella alimentare. La fiammata inflazionistica, che adesso sembra raffreddarsi, ha provocato un autentico stravolgimento in questa categoria di beni, sia nella componente fresca, ossia non trasformata, che in quella trasformata. Quest’ultima, peraltro, pesa il 75 per cento della spesa delle famiglie per il cibo. Un dato di per sé molto istruttivo: tre quarti di quello che mangiamo è stato in qualche modo processato dall’industria alimentare. Quindi contiene un qualche tipo di trattamento a base di sostanze chimiche.

Ma questa è un’altra storia. Limitiamoci ai nostri temi d’interesse. I prezzi dunque. Dalla metà del 2021 fino all’esordio del 2023, i prezzi dei beni alimentari, sia freschi che trasformati son praticamente schizzati alle stelle sfiorando punte del 16 per cento di incremento. La Bce ha analizzato la struttura dei costi di entrambe le categorie di beni trovandole abbastanza simili, al netto però di alcune importanti differenze.

Per i beni trasformati, infatti, l’energia pesa il 2 per cento dei fattori di produzione, mentre per i prodotti non trasformati arriva al 7 per cento. Chiaramente chi inscatola non ha bisogno di alimentare un trattore. Al tempo stesso però gas ed elettricità, a differenza del petrolio, pesano circa l’80 per cento degli input energetici di chi trasforma a fronte del 50 per cento di chi non lo fa. Tenere aperta una fabbrica di imballaggio ha bisogno evidentemente di più luce e gas rispetto a una fattoria.

Non finisce qui. Chi non trasforma ha bisogno di input per la produzione di fertilizzanti, che sono altrettanto rilevanti di quelli energetici. Dulcis in fundo, questi beni, gli alimenti freschi, sono esposti alla stagionalità, con tutto ciò che essa comporta a livello di rischio meteorologico.

In comune i due settori hanno il fatto che gli input alimentari intermedi includono un’ampia quota di costi dei fattori produttivi diversi dal lavoro, che arriva al 50 per cento per i prodotti trasformati e al 40 per i non trasformati. Ciò ne fa degli straordinari veicoli di propagazione degli shock inflattivi anche in altri settori. Detto diversamente: una mandorla che viene tostata (input intermedio) e poi venduta a un altro soggetto che la inscatola “esporta” la sua inflazione anche altrove.

La scintilla che ha acceso il fuoco dell’inflazione alimentare è partita molto probabilmente dai costi per l’energia, con picchi vicini al 40 per cento. Questo shock ha impattato sull’industria alimentare tramite i canali degli input energetici, dei quali abbiamo osservato il peso, e in parte, per il settore non trasformatore, per i rincari dei fertilizzanti. “L’aumento massimo dei prezzi alla produzione dei beni energetici (costituiti principalmente da elettricità, gas e aria condizionata) – spiega la Bce – ha raggiunto quasi il 280 per cento rispetto al livello di dicembre 2020. Un incremento di tale misura corrisponderebbe a un aumento dei costi complessivi dei fattori di produzione diversi dal lavoro nel settore alimentare pari al 9 per cento circa (soltanto per questo specifico shock dei costi degli input)”.

Oltre a ciò, l’Eurozona ha scontato anche il notevole aumento di prezzo delle materia prime alimentari importate nonché dei prezzi interni di produzione delle materie prime alimentari.

E’ interessante osservare, nel grafico sopra, l’istogramma azzurro che, per quanto rilevante quanto a peso specifico sul livello generale dei prezzi, rimane senza spiegazione. Non è un caso. Solo l’ennesimo esempio che dimostra come quello che non sappiamo dell’inflazione occupa uno spazio rilevante delle nostre teorie. La materia oscura non esiste solo in fisica. Forse dobbiamo imparare a guardare in un altro modo. O in un altro posto.