La mitologia bancaria di Mr. Dombret
Siccome si delizia di mitologia, Andreas Dombret, banchiere centrale della Bundesbank, scomoda il celebre nodo di Gordio, tagliato con un colpo di spada da Alessandro Magno, come arguta metafora del viluppo che avvinghia le une alle altre banche commerciali e banche d’investimento. Un tema diventato di grande popolarità, dopo il patatrac del 2008.
Il taglio tuttavia, che poi sarebbe la separazione per legge fra le due banche, che ha precedenti storici illustri si dagli anni ’30 e tentazioni contemporanee assai celebri, sembra fatto apposta per ricordare un’altra storiella mitologica, conclude Dombret alla fine della sua lunga narrazione, andata in scena lo scorso 21 gennaio a Francoforte: quella di Ercole che recide la testa all’Hydra, salvo poi vederne ricrescere due.
L’Hydra di Dombret corrisponde all’instabilità finanziaria nei confronti della quale le varie crisi svolgono il ruolo di levatrici, avendo persino l’aggravante di non essere mai percepite per tempo. “Non sappiamo da dove arriverà la prossima crisi”, ha spiegato un didascalico Mario Draghi in una recente intervista al Neue Zurcher Zeitung. Però arriva. Sempre.
La circostanza che la spada alessandrina appartenga al nebbioso mondo della mitologia serve a Dombret a spiegare che la realtà, a differenza del mito, si nutre di sfumature e di indecisioni. La stabilità finanziaria non si ottiene con un colpo di spada che recide nodi tessuti dalla storia, quindi. I tentativi degli uomini, che non sono infallibili eroi mitologici, ma incarnazione dell’errore condannati alla provvisorietà, si riducono all’esercizio più o meno virtuoso dell’espediente tecnico che dice e non dice, ma indica. Pensate alle regole di Basilea III, spiega Dombret, o, meglio ancora, all’Unione Bancaria.
Il tema, com’è noto, è di stringente attualità. Le ultime cronache ci raccontano della profonda spaccatura che si è aperta fra l’Europarlamento e il Consiglio europeo sul faticoso compromesso raggiunto prima di Natale proprio dal Consiglio europeo che, pur emendandolo, ha sostanzialmente recepito l’altro compromesso, quello dell’Ecofin, che vede un ruolo crescente del meccanismo intergovernativo nel processo di risoluzione bancaria e un arco di tempo decennale per arrivare a dotare il fondo unico di risoluzione delle risorse di tempo necessarie a risolvere ordinatamente eventuali crisi, dovendo nel frattempo farsene carico le singole giurisdizioni statali.
L’Europarlamento, già all’indomani della decisione del Consiglio europeo, non aveva risparmiato le critiche; al meccanismo di risoluzione, giudicato troppo farraginoso; e alla costituzione “decennale” del fondo.
Sicché dall’inzio del 2014 i banchieri centrali hanno ricominciato una discreta opera di mediazione e moral suasion che ricalca grossomodo l’impostazione dell’europarlamento. L’obiettivo è arrivare a licenziare un testo condiviso entro fine febbraio, per dare tempo ai traduttori di preparare i materiali per le votazioni dell’ultima plenaria del Parlamento Ue prima della chiusura per elezioni. Ma quanto dicono i beneinformati, le distanze rimangono ancora ampie, specie sul punto dolente di chi debba mettere sul piatto i denari necessari a sostenere una eventuale risoluzione. Le voci dicono che la Bce avrebbe preparato una soluzione di compromesso, secondo la quale il costituendo fondo di risoluzione potrebbe essere autorizzato ad emettere obbligazioni garantite però dagli stati.
Aldilà delle soluzioni tecniche che verranno individuate, ammesso che lo saranno, è evidente che si è riproposta, sull’Unione Bancaria, la dicotomia stati/organismi sovranazionali che ha scandito la storia dell’europa negli ultimi sessant’anni. Tutto questo su una tematica – ossia la stabilità finanziaria – che è il principale motivo per il quale si è arrivati a concepire i tre pilastri dell’Unione bancaria.
Che fare allora? Dombret ce la racconta così: “Per avere banche più sicure dobbiamo fare in modo che incrementino il loro capitale, ed è quello che prescrive Basilea. E per evitare che il fallimento di una banca si contagi al sistema finanziario abbiamo bisogno di un meccanismo di risoluzione e a livello europeo questo meccanismo è in via di costruzione. Dal mio punto di vista queste misure sono più rilevanti, ai fini della stabilità finanziaria, che la semplice separazione fra i due tipi di banca”.
Anche perché, spiega, non è così facile separare con un tratto di penna una banca commerciale da una d’investimento, visto che negli anni tali rapporti si sono stratificati. E non è detto che, pur separandole, non si creino scompensi finanziari. Dombret fa l’esempio di Lehman Brothers, che pur essendo una banca d’investimento, senza rapporti di natura commerciale con le controparti, ha fatto scricchiolare il mondo dopo il crack.
Il sottotesto è chiaro. La questione della separazioni fra banca commerciale e banca d’investimento è un falso problema, più che altro mediatico. La stabilità finanziaria ha poco a che vedere con la Volcker Rule, che vieta il trading proprietario alle banche, o con le proposte europee della commissione Liikanen, che salva le banche universali divisionandole strettamente all’interno della struttura proprietaria. Il punto centrale, dicono i nostri banchieri centrali, è completare il processo di Unione monetaria con quello di Unione bancaria. E state pur certi che i banchieri centrali europei non lesineranno i loro endorsement, come ha fatto Benoit Couré appena pochi giorni dopo Dombret e Mario Draghi, nell’intervista di cui ho già parlato, nella quale, fra le tante cose che dice, giura che la Bce non farà sconti nell’attività di supervisione: “Le banche deboli devono chiudure”, ha detto senza mezzi termini.
Una posizione, quest’ultima, confermata dalle ultime indicazioni arrivate da Francoforte sulla logica sottesa all’asset quality review e, dulcis in fundo, da una recente intervista della responsabile del nuovo organismo di vigilanza europeo, Danièle Nouy, che ha detto a chiare lettere che le banche deboli devono semplicemente fallire. Quanto al rischio sovrano, “la crisi ha mostrato che non esistono asset sicuri”, ha spiegato la banchiera, ” e di questo dobbiamo tenere conto”. Ergo, viene confermato ancora una volta il sorpasso bancario delle regole fissate a livello europeo utilizzando l’espediente della vigilanza bancaria, tramite il quale la banca centrale si propone di utilizzare la disciplina di mercato per arrivare laddove nessun uomo era arrivato prima: la conquista di una stellare credibilità per le banche europee.
Quest’epopea potremmo raccontarla in chiave mitologica, come ha fatto Dombret.
Quando fu chiesto all’oracolo chi sarebbe stato il Re della Frigia, l’oracolo rispose che il primo uomo che fosse entrato in città a bordo di un carro trainato da buoi sarebbe stato re. Fu Gordio, un umile contadino, a entrare per primo nella città e perciò, come aveva ordinato l’oracolo, fu consacrato re.
Gordio regnò pacificamente, e durante il suo regno adottò un bambino, che chiamò Mida. Mida fu omaggiato dagli dei col dono di trasformare in oro tutto quello che toccava. Una sorta di banchiere centrale ante-litteram. E fu lui a decidere di consacrare il carro del padre agli dei, legandolo col famoso nodo che nessuno sapeva sciogliere a simboleggiare come nessuno avrebbe mai dominato l’Asia finché il carro fosse rimasto legato. Quando Alessandro, giunto sulla punta delle sue lance in Frigia, seppe della leggenda provò a scioglere il nodo e, non riuscendoci, si esibì nel celebre nodo.
Sembra storia di oggi: i regnanti (gli stati) e i loro figli adottivi (le banche centrali) sono finiti sotto l’attacco dell’incarnazione finanziaria di Alessandro Magno: la Bce. Già da un decennio la Banca centrale europea ha tagliato il nodo gordiano che bloccava il processo di integrazione europea. Le manca solo l’ultimo miglio.
Saranno loro, i banchieri centrali europei, se riusciranno, a conquistare l’Asia.
Che un banchiere trovi irrilevante, ai fini della stabilità finanziaria, la (ormai mitologica, ne convengo) separazione fra banche d’affari e banche commerciali… mi convince che questa separazione è indispensabile.
Secondo Dombret il nodo gordiano intessuto dalla storia di questi ultimi quarant’anni è troppo complicato da sciogliere: ergo: va imbrogliato ulteriormente. Nel frattempo, il presidente di una Banca centrale non secondaria dichiara senza pudore: “Non sappiamo da dove arriverà la prossima crisi”.
Ma sanno che arriverà.
Personalmente ritengo che in certe situazioni il “metodo Alessandro Magno” sia il più funzionale; e non solo riguardo ai nodi, mi verrebbe da pensare alcune volte.
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salve,
i banchieri centrali, per come la vedo io, sono l’avanguardia di coloro che rivendicano il primato della politica. nell’economia, innanzitutto. la questione della separazione fra banche, infatti, è fatto eminentemente politico. la tecnica è solo un travestimento.
grazie peri commenti
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Caro Maurizio, in che senso lei ritiene che i banchieri centrali sono l’avanguardia fra coloro che rivendicano il primato della politica sull’economia?
A me pare che è dal tempo del divorzio Bankitalia/Tesoro a opera di Ciampi e Andreatta che la loro battaglia di affrancamento e indipendenza dalla politica viene rivendicata come un valore non negoziabile, e il trattato di Maastricht e lo statuto BCE ne sono il suggello. La perdita di sovranità monetaria da parte degli stati mi pare che renda innegabile il limite che ciò ha posto ai governi di fare politica, con possibilità ormai ristrette entro precisi (ancorché arbitrari) parametri economici, e condizionati da entità (i mercati) che dell’economia sono l’espressione più trascendente, almeno secondo la prevalente corrente di pensiero.
Sono d’accordo invece che la separazione fra banche è un fatto politico,nel senso che per tagliare questo nodo gordiano occorre un atto di considerevole volontà politica, visti gli interessi economici che toccherebbe. Una volontà che purtroppo (dal mio punto di vista) non vedo da nessuna parte.
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salve.
intendo dire che sono l’avanguardia del primato della Politica, nel senso della loro politica, che si esercita a cominicare dai mercati finanziari e a finire sulle politiche fiscali. Il banchiere centrale, per sua intima costituzione, è un ircocervo fra stato e finanza, e quindi ambisce a regolare gli uni e gli altri utilizzando ora la regolazione finanziaria, ora la market discipline.
La politica a cui lei fa riferimento (quella del parlamento o dei governi) è semplice ancella della Politica, come dimostra il nostro ventennale appannaggio del ministero dell’economia ai banchieri centrali.
Non commetta l’errore di assimilare la Politica alla politica. La prima riguarda chi decide. la seconda il teatrino – fortunata espressione – che vediamo ogni giorno su stampa e tv e che è un semplice gioco di parti.
comunque sto lavorando a un post che pubblicherò nei prossimi giorni per provare a spiegarmi meglio.
grazie per il commento
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In questo senso sono d’accordo, anche se fra i due termini omòfoni attribuirei la P maiuscola a quello dei parlamenti a dei governi, non tanto per ciò che è ma per ciò che dovrebbe essere.
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salve,
capisco il suo punto di vista, ma io sono antico-ateniese, o, al limite, latino. e le chiedo: secondo lei chi si occupa più della polis oggi, i politici o i banchieri centrali?
questo è il problema 🙂
grazie per il commento e l’attenzione
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Dal mio punto di vista il problema non è tanto CHI se ne occupa, ma COME ci se ne occupa. E in quanto cittadino l’attuale COME non lo trovo affatto soddisfacente. Il fatto poi che, come lei dice, a occuparsene di più siano i banchieri centrali, cioè una classe dirigente “al riparo da ogni processo elettorale” (Cfr M. Monti), ovvero senza responsabilità politica alcuna, mi fa dubitare che la polis nella quale ci troviamo a vivere non sia così democratica come ce la rappresentano.
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identificare la politica con il processo democratico, e quest’ultimo con il suffragio universale, è una caratteristica del nostro tempo. ma relativamente recente. il fatto poi che la democrazia sostanziale sia molto diversa da quella formale dimostra solo l’alto tasso di ipocrisia istituzionale che circonda la materia.
personalmente non mi illudo: le élite hanno sempre guidato i processi fondamentali. di diverso, oggi rispetto a ieri, c’è che possiamo discorrerne qui senza finire in galera. per ora 🙂
grazie per il commento
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D’accordo. Purché la realistica consapevolezza di uno stato di cose non implichi che lo si debba accettare rassegnatamente e a prescindere; altrimenti lo stesso nostro discorrerne qui non avrebbe alcun senso.
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