L’exit comedy della Fed: i rischi Emergenti dell’eurozona

Se smettessimo per un attimo di preoccuparci della Grecia forse sarebbe più agevole notare che i rischi per l’eurozona non arrivano (o almeno non solo) da questo piccolo e rumoroso stato balcanico. Anche perché l’esperienza e il buon senso lasciano immaginare che in qualche modo la Grecia troverà un accordo con i suoi creditori, che magari servirà solo a dilazionare il momento del redde rationem, ma che intanto spingerà fuori dall’uscio il rischio che insidia l’area monetaria.

Senonché talvolta ciò che esce dalla porta rientra dalla finestra e una lettura anche frettolosa dell’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato a maggio scorso dalla Bce lo mostra con chiarezza. Il problema è che questi rischi non sono visibili come quello greco, e come tali non hanno dignità di grande stampa. E tuttavia covano silenziosi,  a riprova di come il garbuglio che è diventato l’economia globale sfugga a tanti finché non sia ormai troppo tardi.

Ci preoccupiamo della Grecia, quindi, ma non del fatto che il Portogallo (vedi grafico) ha un sistema bancario pesantemente esposto nei confronti dell’Angola, un piccolo stato africano di cui pensiamo di poterci disinteressare solo perché è lontano da noi, trascurando di notare quanto e come siano fitti i legami fra le economie, e per le vie più traverse.

Così come non ci preoccupiamo della Spagna, che al momento sembra di nuovo un campione dell’eurozona, perché ha fatto i suoi compiti a casa, una volta che il suo sistema bancario è finito sotto salvataggio, trascurando però di osservare come il sistema bancario spagnolo sia altresì parecchio esposto nei confronti, ad esempio del Venezuela (vedi grafico) e vi risparmio il Brasile.

E figuriamoci se ci preoccupiamo della Francia, fiscalmente periclitante e col conto corrente in riserva da tempo, ma comunque robusta, grazie soprattutto al suo sistema bancario. Che però risulta essere fra i più esposti nei confronti delle compagnie energetiche, sempre dei paesi emergenti.

E il punto è proprio questo. Cos’hanno in comune l’Angola e il Venezuela? Sono paesi produttori di petrolio.

Un altro grafico della Bce ci mostra con chiarezza quanti danni fiscali questi paesi produttori possono subire qualora i corsi petroliferi non tornino a sostenere i loro debiti esteri, in gran parte peraltro denominati in valuta straniera, e per lo più in dollari.

E ricordo pure che un recente studio della Bis ha ipotizzato che sia stato proprio il gran debito contratto dalle compagnie energetiche a far collassare i corsi del petrolio.

Quindi, come il classico gatto che si morde la coda, i paesi emergenti produttori, e le loro compagnie energetiche, hanno disseminato una montagna di debiti nelle pance dei nostri bei paesi europei, che adesso devono augurare una buona salute a questi debitori, per non trovarsi in casa un rischio Emergenti assai più grave, perché insidioso, di quello greco.

Rischio che peraltro deve molto agli esiti della politica monetaria americana. Il rischio per i paesi emergenti dal rialzo dei tassi Usa è praticamente una costante nella reportistica internazionale. Meno osservato è come questo rischio di contagio sia assai più facile si trasmetta all’Europa molto prima che agli Stati Uniti.

Sarà per questo che il Fmi ha chiesto alla Fed di aspettare un attimo prima di alzare i tassi. Almeno fino al 2016.

Per ora.

(2/segue)

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