Filosofia dell’investimento estero cinese

La liberalizzazione del conto capitale cinese, che vuole dire libera circolazione dei flussi finanziari e quindi piena convertibilità della moneta, è uno degli eventi finanziari più attesi dalla comunità economica internazionale e non a caso. Rappresenta la piena ammissione dell’economia cinese nel vortice della globalizzazione finanziaria, con tutto ciò che questo comporta per la sovranità di Pechino. Se è il mercato a determinare il tuo merito di credito e il valore della tua moneta, è chiaro che sei costretto ad assumere comportamenti di un certo tipo per compiacerlo. Chissà come il mercato prezzerebbe l’economia cinese, che espone svariati squilibri finanziari, se potesse farlo liberamente. E questo spiega perché le autorità di Pechino siano così prudenti nella lunga marcia di avvicinamento a questo traguardo storico.

Traguardo che insieme ai rischi che abbiamo evidenziato porta con sé dei vantaggi. La momento, ad esempio, gli asset cinesi all’estero fruttano un ritorno molto più basso di quanto invece garantiscano gli investimenti esteri in Cina. Il conto dei redditi della bilancia dei pagamenti cinesi, insomma, è deficitario. E questo, almeno secondo gli autori del paper che ha ispirato questa miniserie, è dovuto anche alla composizione di questi asset esteri. Inoltre la Cina dispone un ampia quota di risparmi che originano depositi per un ammontare pari al 170% del pil. Fondi che, se fossero liberi di fluire, forse renderebbero qualcosa. Oggi invece, i rendimenti reali di questi depositi sono addirittura negativi.

Le autorità hanno iniziato il loro lento percorso di apertura finanziaria avendo ben chiaro questo scenario e soprattutto non volendo perdere il controllo dei propri flussi di capitale. Per questo l’odissea internazionale del capitale cinese è iniziata innanzitutto determinando quali soggetti fossero titolati a intraprenderla, ad esempio i Qualified Domestic Institutional Investor Scheme (QDII),  e in che modo questa odissea debba essere condotta. I primi sono strumenti che consentono al governo di calibrare entità e destinazioni dei flussi all’estero. Le seconde sono le regole di ingaggio che il governo allenta o restringe a seconda delle necessità. Tutto ciò serve a ricordare che il capitalismo estero cinese è guidato da una logico politica – inevitabilmente di potenza – e non certo dalla semplice fame di rendimenti.

E questo spiega anche perché sia così difficile tracciare questi flussi. La Cina non comunica al Fmi i flussi dei propri investimenti diretti, tanto per cominciare, mentre quelli di portafoglio sono stati censiti solo nel 2015. Nulla meglio di ciò simboleggia la ritrosia di Pechino ad aprirsi davvero alla globalizzazione finanziaria, che ha a che fare non solo con le procedure statistiche, ma anche con la trasparenza delle informazioni.

Gli economisti hanno attinto a diversi database per provare a tracciare il quadro degli investimenti esteri cinesi. Probabilmente non sarà esaustivo, ma rimane comunque rappresentativo e ci consente di apprezzare il ruolo degli investitori istituzionali cinesi anche come canali attraverso i quali anche gli investitori retail possono iniziare ad allocare i propri risparmi.

Una prima considerazione che è utile riportare è che gli investimenti di questi soggetti all’estero sottopesano i paesi avanzati “mentre sovrappesano i paesi con governance debole”. La seconda considerazione riguarda i settori. Mentre i cinesi investono poco a livello internazionale sull’hi tech, hanno la tendenza a sovrainvestire sulle azioni hi tech nei paesi sviluppati. E non certo a caso. Le analisi svolte dagli economisti mostrano che Pechino tende a investire di più nei paesi e nei settori dove soffrono di uno svantaggio comparativo, al contrario di quanto avviene negli investimenti domestici che si concentrano proprio sui settori dove la Cina ha un vantaggio comparato.

Queste poche considerazioni bastano già a farci un’idea della filosofia che guida gli investimenti esteri dei capitalisti (autorizzati) cinesi. E che non sembra sia basata sul profitto.

(2/segue)

Puntata precedente: L’odissea internazionale del capitale cinese

Puntata successiva: Quel che c’è da sapere sul tesoro estero cinese

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