La globalizzazione emergente. La faglia del Caspio meridionale

Osservare le linee di forza lungo le quali si sta lentamente delineando la fisionomia di quella che abbiamo chiamato globalizzazione emergente rende necessario al contempo andare in cerca delle linee di faglia che tendono ad approfondirsi tanto quanto più si irrobustiscono le linee di forza, per una semplice questione di fisica politica. Il triangolo di interessi che abbiamo immaginato fra Cina, Russia e Turchia nasconde al suo interno infiniti punti di rottura che originano dall’essere – queste tre potenze – strategicamente antagoniste e tatticamente dialoganti.

Detto altrimenti, la linea di forza principale di questo processo di globalizzazione emergente è generata dal desiderio di competizione con l’egemone statunitense, che ha fissato e tiene tuttora saldamente in pugno le coordinate dell’ordine globale esistente, esprimendo non solo la moneta internazionale, di fatto se non di diritto, ma anche la lingua comunemente usata, negli affari come nella comunità scientifica, oltre a esercitare il predominio delle rotte marittime lungo le quali si muove la gran parte del commercio internazionale e fissare l’ordine politico liberal-democratico che si vuole esportare, pure con le bombe, in paesi che ne sono del tutto privi.

Questa competizione, che ha trovato slancio e motivazione nell’atteggiamento statunitense degli ultimi anni, a metà fra disimpegno e spirito polemico, culminato nella guerra commerciale coi cinesi, le sanzioni ai russi e le varie minacce ai turchi, dei quali gli Usa sono pure alleati, ha spinto questi tre paesi ad avvicinarsi significativamente. Non solo perché il vertice Ankara-Mosca-Pechino è capace di avvolgere in una ragnatela l’intero continente asiatico, massa continentale di enorme peso alle spalle dell’Europa, ma anche perché i tre capi di stato di questi paesi sono chiaramente fatti per intendersi: hanno una chiara vocazione autocratica con aspirazioni monarchico-imperiali.

Detto ciò è chiaro che questa convergenza di medio termine si scontra con alcune divergenze di lungo termine. Ed è qui che emergono le linee di faglia che andremo ad elencare, cominciando da quella che cova da anni nel Caspio meridionale. Una delle tante zone di crisi dimenticate che di tanto in tanto fanno capolino nelle nostre cronache, come è accaduto di recente fra Armenia e Azerbaigian che da vent’anni guerreggiano a intensità più o meno bassa. Il conflitto si è riacceso di recente dopo alcuni scontri al confine costati la vita a diversi militari. Si segnala, fra le tante cose che si sono dette, la minaccia azera di bombardare un sito nucleare in Armenia come rappresaglia, che ha scatenato la dura protesta della Cina. Sempre a proposito di triangolo di interessi.

Ma è chiaro che l’ostilità fra i due paesi, conseguenza del collasso dell’Unione sovietica, quando i due stati divennero indipendenti, che facilmente si è trasformato in un conflitto non solo etnico ma anche religioso – gli armeni sono cristiani, gli azeri musulmani – è ben lungi dall’essere solo un fatto locale.

La disputa sui confini, che diede origine negli anni ’90 alla guerra del Nagorno-Karabak, non è mai terminata. Gli azeri rivendicano alcuni territori al momento presidiati dalle truppe armene, e dove incidentalmente passano alcune arterie energetiche che servono l’Europa, come il vicepresidente azero della compagnia statale dell’energia non si è peritato di rammentare alla comunità internazionale.

Fra questi vale la pena ricordare il corridoio meridionale del gas (Southern European natural gas pipeline) che abbiamo già incontrato, e che dovrebbe consentire, passando per la Turchia, di bypassare il gas russo.

Sorvoliamo sul fatto che gli azeri sono storicamente nell’orbita russa, perché ciò che conta rilevare è che sono assai vicini anche a quella turca. E non solo per questioni religiose, come si può intuire dalla cartina sopra. La Turchia fornisce armi agli azeri da tempo e ha fatto sentire la sua voce anche nel corso dei recenti scontri con gli armeni, con i quali i turchi hanno sempre avuto dissapori anche molto aspri, che invece sono in ottimi rapporti coi russi, con i quali partecipano all’Unione euroasiatica di Putin. L’Armenia ospita anche basi militari russe e casualmente i russi hanno svolto esercitazioni militari nella zona. La qualcosa serve a ricordare, ai tanti che ancora pensano che si possa fare politica estera con i comunicati stampa, che servono le armi per avere un’agenda di politica internazionale. E soprattutto la possibilità di usarle.

Erdogan, insieme col suo ministro degli esteri, si è affrettato a condannare gli attacchi armeni agli azeri e ad offrire aiuto. Poche ore dopo un’agenzia turca – poi smentita dalla Tass russa (la stessa che pochi giorni prima degli scontri rilanciava gli allarmi armeni sulla collaborazione militare turco-azera) – aveva fatto circolare la voce che mercenari siriani erano stati spostati dal Medio Oriente al Caspio, sembrando così che si volesse replicare il balletto già visto in Siria e in Libia.

Senonché il Caspio non è meno complicato del Medio Oriente. Basta ricordare che in quella zona insiste anche la Georgia già sfiorata dalle polemiche. E soprattutto ha profili di sensibilità capaci di trasformare i balletti russo-turchi, per adesso declinati in maniera conflittualmente bonaria, in conflitto vero e proprio che nessuno dei due si può permettere.

Che l’Europa, soprattutto, non si può permettere. Oltre al gas, infatti, nella zona dove si sono riaccesi i combattimenti passano anche alcuni oleodotti strategici per le forniture europee come il Baku-Tbilisi-Ceyhan, il Baku-Supsa e il Baku-Tbilisi-Erzrum.

Notate come tutte queste infrastrutture passino attorno ai confini armeni ma insistano pericolosamente vicino a quelli con gli azeri, dove infatti si concentrano gli scontri.

La cartina sopra serve anche a capire che il Caspio è stretto nella tenaglia russo-turca. Nessuno dei due paesi può aumentare la pressione però, perché si rischia non solo di incendiare la regione ma di mettere a repentaglio la salute economia di tutta l’area, Russia e Turchia comprese, nonché la sicurezza energetica europea.

Né bisogna dimenticare la scomoda prossimità con l’Iran, che nel Caspio ha notevoli interessi diventando così l’anello di congiunzione con la complessa partita dello scacchiere mediorientale. Peraltro l’Iran ha concluso di recente un importante accordo pluriennale con la Cina, che perciò adesso ha tutte le ragioni per allungare lo sguardo fino al Caspio venendosi così a chiudere ancora un volta il triangolo di interessi con Russia e Turchia lungo le rotte dell’Eurasia.

Nel frattempo la tenaglia deve continuare a somigliare a un balletto, e russi e turchi devono far finta di piacersi approfondendo le rispettive zone di influenza mentre la Cina, che con le sue risorse è il motore principale di questa globalizzazione, prosegue la sua opera di avvicinamento pacifico a suon di contratti miliardari.

Rimane il fatto che i globalizzatori emergenti hanno bisogno della postura di guerra per preparare la pace, preludio di un nuovo ordine globale pluricentrico. Ma c’è da dubitare che una pax russo-sino-turca duri più dello spazio di un mattino. E il Caspio potrebbe offrirne uno straordinario esempio.

 

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